di Gianfranco Lorenzoni
“Immissione in libera pratica di merci destinate al consumo in altro stato membro. Compilazione della dichiarazione doganale”:
Recita così l’oggetto della nota prot. 3540 del 01.04.2014 emanata dall’Ufficio regimi doganali e traffici di confine, della Direzione Centrale Legislazione e Procedure Doganali dell’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli.
Questo, sarà anche l’argomento di queste brevi note di vita vissuta, che intendo condividere con voi nel caso in cui vi trovaste coinvolti in una situazione simile.
Tutto ha avuto inizio qualche settimana fa quando, un mio cliente, mi ha chiesto di poterlo assistere per una “Immissione in consumo con contemporanea immissione in libera pratica di merci con esenzione IVA per consegna in altro Stato membro“, utilizzando la procedura richiamata nella nota sopra evidenziata (cioè senza prestare alcuna garanzia).
Si trattava di una partita in procinto di arrivo, composta da strumenti elettronici molto delicati del valore di circa 1.500.000,00 euro, caricata su due contenitori frigo in quanto obbligatoriamente vincolata al trasporto a temperatura controllata.
Dopo essermi informato in Dogana se erano già state effettuate operazioni del genere ed avere ricevuto da questa risposta negativa, vista la normativa emanata al riguardo, ho provveduto ad abbozzare una dichiarazione doganale dove avevo posto il soggetto italiano quale dichiarante (la cui partita IVA figurava nel campo 44 con il codice Y040) mentre, l’indicazione della partita IVA del soggetto debitore d’imposta nello Stato membro di destinazione (oltre a dettagliare la sua ragione sociale nel campo 31), era stata da me riportata nel campo 44 con il codice Y041.
Primo attimo di panico. Vado in Dogana (Direzione) dove mi dicono che la dichiarazione è sbagliata perché il dichiarante può essere solo il soggetto debitore d’imposta nello Stato membro di destinazione, identificato in Italia con una propria partita IVA (art. 35ter del DPR 633/72), ovvero un suo rappresentante fiscale, ma non mi spiegano il perché (in seguito ho ritenuto che ciò sia stato il frutto dell’interpretazione errata dell’esempio riportato nell’Allegato 38 delle DAC).
Prendo coraggio e ritento con il responsabile della S.O.T. competente per territorio, ma anche questo mi dice di dargli tempo per studiare la pratica e, nel caso l’operazione si dovesse nel frattempo fare, di utilizzare la vecchia procedura della garanzia. Mi suggerisce anche di fargli due righe via mail, per illustrargli l’operazione (una sorta di interpello) e formalizzare così il tutto; cosa, da me posta immediatamente in essere, con inoltro a mezzo posta certificata anche alla Direzione dell’Ufficio Unico delle Dogane.
Seguono un paio di giorni di affannose ricerche, per trovare ulteriori circolari e note possibilmente d’ausilio nella compilazione della dichiarazione doganale (a questo proposito il mio ringraziamento va all’amico Massimo De Gregorio per avermi fornito la nota dell’Agenzia, prot. 48033 R.U. del 09.06.2014), ma non trovo informazioni determinanti, tali da modificare i concetti espressi da quelle già in mio possesso. Nel frattempo il materiale arriva.
Trascorsi, come dicevo, i due giorni di affannose ricerche e sempre più convinto della correttezza della mia interpretazione, mi reco nuovamente dal responsabile della S.O.T. per vedere se nel frattempo avesse avuto modo di interpellare qualche altro funzionario ed ottenuto, magari, qualche nuova informazione. La risposta che ricevo è negativa, nel senso che mi viene chiesto ulteriore tempo per studiare l’operazione e, contestualmente, mi viene fatto notare che se il materiale risulta essere già stato venduto dal soggetto italiano all’acquirente comunitario, essendosi concretizzato il trasferimento della proprietà dei beni prima della loro immissione in libera pratica, si potrebbe palesare l’errata fatturazione da parte dell’italiano in art. 41 (D.L. 331/93) oltre ad un indebito utilizzo del regime 42. Come conseguenza, l’ufficio darebbe corso ad una revisione di accertamento con richiesta di pagamento dell’IVA e delle relative sanzioni. Mi viene detto, inoltre, che gradirebbe sentire prima anche l’Ufficio delle Entrate in quanto, trattandosi di IVA e sulla base della recente sentenza della Corte di Giustizia, tale materia dovrebbe ricadere sotto la loro esclusiva competenza.
A questo punto, non trovandomi più nella condizione di poter prendere tempo e giustificare un ritardato ritiro del materiale, dopo essermi assicurato che la fattura di vendita non era stata ancora emessa, lancio il flusso in AIDA e perfeziono l’operazione come da mia prima bozza. Vengo “premiato” dall’analisi dei rischi poiché, malgrado i controlli incrociati, mi esce un bel “CA”.
Per concludere, al momento in cui scrivo queste brevi note non mi è ancora pervenuta alcuna risposta, né dal responsabile della S.O.T., né dalla Direzione dell’Ufficio Unico delle Dogane ma, dagli ulteriori contatti avuti, anche i funzionari prima contrari si sarebbero infine convinti della regolarità dell’operazione e che, come evidenziato nella nota in premessa, non è più possibile richiedere all’importatore la costituzione di una garanzia.