Origine preferenziale? Una caratteristica della merce …tutta da provare

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Gennaio 2017 – dicembre 2018, l’Europa sottoscrive due nuovi accordi preferenziali: un accordo economico e commerciale globale con il Canada (CETA – GUUE L11 del 14 gennaio 2017) ed un partenariato economico con il Giappone (JETA – GUUE L330 del 27 dicembre 2018). Non sono certo i primi o gli unici accordi che l’Europa stringe, anzi: la CEE prima, l’UE in seguito, ne sottoscrive molti, durante più di quarant’anni. Il viaggio inizia negli anni 70 con Svizzera, Islanda e Norvegia e Siria per arrivare nel 2011 all’accordo con Corea del Sud e nel 2012-2013 con l’America Centrale e la Comunità Andina, attraversando paesi del Maghreb (Tunisia, Marocco, per citarne due), dell’America Latina (ad esempio Messico) e dei Balcani (pensiamo all’accordo con Bosnia-Erzegovina o a quello con la Serbia). Parallelamente l’Europa implementa un sistema di agevolazioni tariffarie unilaterali, ad esempio nei confronti dei paesi in via di sviluppo (SPG) oppure verso territori associati con l’Europa (Overseas Countries and Territories). L’obiettivo di accordi e concessioni è il medesimo: ridurre o abbattere i dazi all’importazione sulla base dell’origine preferenziale delle merci.  Sia negli accordi che nelle preferenze unilaterali è centrale il “protocollo relativo alla definizione della nozione di prodotti originari e ai metodi di cooperazione amministrativa”, vale a dire la parte che disciplina la trasformazione sufficiente per l’attribuzione dell’origine preferenziale ad un prodotto e le prove per documentare tale caratteristica. L’origine preferenziale, infatti, è condizione necessaria per ottenere l’agevolazione daziaria all’importazione, ma da sola non basta: va documentata, pena il pagamento del dazio previsto erga omnes. Ed è proprio nell’ambito delle prove dell’origine che il 2017 rappresenta un anno di svolta.

 

Vediamo se un’impresa europea, la stessa che qualche edizione fa (settembre 2018) avrebbe preferito “ritoccare” il valore in dogana anziché utilizzare i regimi speciali, conosce queste novità e sa documentare correttamente l’origine preferenziale. Immaginiamo che l’azienda importi due macchinari per la lavorazione del legno, v.d. 8465990000, uno dall’India e uno dalla Corea del Sud. Supponiamo, inoltre, che la stessa impresa debba inviare mobili, v.d. 94034090, in Canada e parti di costruzioni in alluminio, v.d. 76109090, in Giappone. Sia il macchinario 8465990000 che il 94034090 e il 76109090 rispettano le regole d’origine preferenziale previste dai protocolli del caso. Quali documenti si aspetta di ricevere l’azienda dai fornitori? E come pensa di gestire l’origine all’esportazione? Diamo uno sguardo ad una conversazione con lo spedizioniere doganale di fiducia…

 

Beh, per l’importazione da India e Corea del Sud è facile: letto un accordo, letti tutti e io sono già abituato con la Svizzera. Mi faccio fare l’EUR 1 dai fornitori e siamo a posto

Ecco…non proprio. Se da un lato i protocolli d’origine sono più o meno simili, dall’altro bisogna tenere presente alcune differenze importanti e, soprattutto, le novità introdotte dal 2017. Devi considerare, innanzi tutto, che India e Corea del Sud si distinguono dalla Svizzera alla quale sei abituato: non utilizzano l’EUR 1 per attestare l’origine preferenziale. L’india, ad esempio, fa parte del Sistema delle Preferenze Generalizzate (SPG). La prova dell’origine è (anzi, era) il Form A (allegato 22-08 RE) oppure la dichiarazione su fattura in caso di esportatore autorizzato (allegato 22-09 RE). Quest’ultima forma di certificare l’origine, la dichiarazione su fattura, è l’unica in vigore, invece, per la Corea del Sud. Il tuo fornitore coreano deve avere, quindi, un’autorizzazione dalla dogana del suo paese e sottoscrivere una frase secondo il testo previsto dall’accordo UE/Corea. Per quanto riguarda le novità, invece, considera che dal 1° gennaio 2017 per i paesi SPG è entrato in vigore il sistema REX: Form A e dichiarazione vengono sostituite dall’attestazione d’origine su fattura (allegato 22-07 RE) redatta da un esportatore registrato. L’applicazione è graduale, ma nel tuo caso l’India ha già completato il passaggio al REX a giugno 2018 e, quindi, il tuo fornitore indiano potrà solo riportare l’attestazione in fattura, indicando il suo numero di registrazione (esempio: INREX seguito Trade Identification Number o TIN).

 

Va bene, niente EUR 1 all’importazione, ma per inviare in Canada e Giappone certo che lo chiedo alla Dogana, dopotutto lo faccio anche quando vendo i mobili o strutture di alluminio in Svizzera….

Anche in questo caso non è esatto. Per la Svizzera, se mobili 94034090 e strutture di alluminio 76109090 hanno acquisito l’origine preferenziale e se hai tutte le prove, fai bene a chiedere l’EUR 1, potresti sottoscrivere anche una dichiarazione su fattura, ma la tua azienda non è esportatore autorizzato. La prova dell’origine preferenziale per Canada e Giappone, tuttavia, è diversa. Nel CETA, all’articolo 18, potrai leggere che il trattamento daziario preferenziale viene accordato sulla base di una dichiarazione d’origine, mentre nel JETA, all’art. 3.16, vedrai che accanto all’attestazione d’origine è riconosciuto il metodo della conoscenza dell’importatore. In ogni caso anche qui niente EUR 1, proprio diverso dalla Svizzera.

 

Ok, ho capito, ma posso redigere la dichiarazione o attestazione su fattura ed inviare in Canada e Giappone? Ci sono delle formalità? La Dogana deve fare dei controlli preliminari?

Il requisito per sottoscrivere la dichiarazione o l’attestazione è diventare esportatore registrato. Il sistema REX, che prima ti ho descritto come novità per i paesi SPG, viene utilizzato anche al di fuori di tale contesto (art. 68 RE). Tranquillo, non ci sono controlli preventivi, questi vengono condotti dalle autorità doganali competenti solo per lo status di esportatore autorizzato, al fine di verificare la sussistenza dei requisiti per godere di questo “privilegio” (art. 120 RE, oppure art. 17 protocollo dell’accordo UE/Corea). Diventare esportatore registrato, invece, richiede solo due passi: compilare l’allegato 22-06 bis RE (quello rettificato, come da Circolare 13/D del 16.11.2017) ed inviarlo all’ufficio doganale territorialmente competente. La registrazione nel REX è veloce: niente a che vedere con le tempistiche legate al rilascio di un’autorizzazione (art. 80 RE vs art. 22.3 CDU). Questa semplicità, tuttavia, non ti solleva dall’obbligo di rispettare le regole e di avere sempre i giustificativi dell’origine preferenziale che dichiari. L’assenza di verifiche preventive non significa che le dogane rinunciano a controlli sul corretto utilizzo del sistema REX, al contrario. È prevista, infatti, un’attività di monitoraggio sulla base di determinati criteri di analisi dei rischi (art. 108 RE). Ciò significa che devi poter produrre in qualsiasi momento, a richiesta delle autorità doganali, adeguate prove circa l’origine preferenziale dichiarata (art. 91 RE), non puoi produrre attestazioni infondate, pena la revoca della registrazione (art. 89 RE), senza contare le conseguenze di dichiarazioni false inerenti l’origine della merce (attento perché sarebbe una “disattenzione” con conseguenze penali….).

 

Ma devo ottenere due numeri di registrazione al REX, uno per il Canada e uno per il Giappone? E la dichiarazione è uguale per ambedue i Paesi o ci sono testi differenti?

Il numero di registrazione è unico, una volta ottenuto lo puoi utilizzare per tutti i sistemi preferenziali che prevedono questa modalità di certificazione dell’origine (ad esempio, in futuro, anche nell’accordo con il Vietnam). Anche in questo caso esportatore registrato ed autorizzato differiscono. Quest’ultimo, infatti, è uno status che viene concesso nell’ambito di un sistema preferenziale, come si può desumere da uno dei due requisiti da soddisfare per ottenere l’autorizzazione (“spedizioni frequenti con il Paese accordista”). Questo significa che Il numero di esportatore autorizzato, contrariamente al REX, non è “uno per tutti”: l’esportatore autorizzato è funzione dell’accordo o del sistema preferenziale all’interno del quale è stato concesso.

Per quanto riguarda la dichiarazione, la frase è praticamente la stessa (allegato 2 nell’accordo UE/Canada, allegato 3-D nell’accordo UE/Giappone). Attenzione ad una particolarità solo per il Giappone: accanto all’attestazione dovrai indicare il  periodo di validità (massimo 12 mesi), il tipo di prodotto (interamente ottenuto, fabbricato a partire da materiali originari oppure non originari ex art. 3.2 dell’accordo) e, soprattutto, il criterio che hai impiegato per determinare l’origine preferenziale (allegato 3-B). Nella dichiarazione per il Canada, invece, non è necessario esplicitare il metodo attraverso il quale il prodotto ha acquisito il carattere preferenziale, ciò non toglie che devi conoscere ed applicare correttamente le regole previste nel protocollo.

 

E se le varie dichiarazioni degli esportatori registrati, autorizzati risultano poi sbagliate? Almeno con l’EUR 1 se la Dogana sbaglia io non devo pagare i dazi a posteriori….

…non devi pagare i dazi a posteriori se hai agito in buona fede, se non potevi ragionevolmente scoprire lo sbaglio della Dogana e se tale errore non è stato causato da una presentazione fattuale infondata da parte dell’esportatore (art. 119 CDU, un tempo art. 220 CDC). Certo, le nuove forme di documentare l’origine preferenziale snelliscono le operazioni, ma ripropongono l’interrogativo riguardante l’esclusione del recupero a posteriori del dazio basata sull’errore delle autorità competenti. “Ripropongono” perché lo stesso tema era già sorto per la dichiarazione sottoscritta da un esportatore autorizzato.

 

Da un lato, la mancanza di un certificato emesso dalle autorità doganali sembra escludere il rimborso o lo sgravio dell’obbligazione doganale, secondo quanto scrive la Commissione europea nel documento “Information paper on the application of Articles 220.2.b and 239 of the Community Customs Code”.  Dall’altro, tuttavia, una tale posizione potrebbe risultare troppo categorica e non offrire adeguata tutela al legittimo affidamento degli operatori che agiscono in buona fede. Se importi dall’India, come nel tuo caso, se in fattura noti l’attestazione d’origine redatta secondo l’allegato 22-07 RE CDU, se verifichi attentamente sul sito della Commissione europea e noti che il numero di registrazione al REX è valido: perché dovresti pagare un dazio a posteriori in caso di controlli che rivelino l’infondatezza della dichiarazione del fornitore? D’altro canto perché l’UE dovrebbe accollarsi il costo di un mancato monitoraggio, del REX in India o dell’esportatore autorizzato in Corea, a cura delle autorità doganali locali? La progressiva uscita di scena di Form A, EUR 1, EUR MED mette in luce la necessità di un’interpretazione di “errore delle autorità competenti”, svincolata dal rilascio o dall’accettazione di un certificato e che prenda in considerazione sia gli interessi finanziari dell’Unione, sia la tutela degli operatori. Sul fronte dell’esportazione, l’errore potrebbe essere inteso, ad esempio, come assenza prolungata di verifiche sul rispetto delle condizioni d’utilizzo del REX e sul compimento dei requisiti per avere lo status di esportatore autorizzato. All’importazione, invece, l’errore potrebbe essere il mancato controllo a posteriori delle dichiarazioni doganali d’importazione con trattamento daziario preferenziale, in particolar modo se la preferenza è stata accordata sulla base di autocertificazione dell’esportatore, o dell’importatore, nel caso in cui ad esempio ti capiti di importare dal Giappone e di avvalerti del metodo della “conoscenza dell’importatore”. Ad ogni modo, una lettura innovativa dell’art. 119 CDU dovrebbe essere avallata da documenti esplicativi della Commissione e dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia.

Elena Di Benedetto