MESTRE – ADM, autorità, doganalisti, rappresentanti dell’ordine professionale, del mondo delle associazioni e delle software house, nonché importanti case di spedizioni italiane e di Austria e Germania si confrontano al convegno dal titolo “ADM e Doganalisti al servizio della logistica nazionale”, organizzato nei giorni scorsi da ADM, in collaborazione con la nostra Federazione Anasped, presso la sede della Direzione Interregionale per il Veneto ed il Friuli Venezia Giulia.
Intervengono il Direttore Interregionale ADM Veneto e FVG Franco Letrari, Il Presidente Anasped Massimo De Gregorio, Nevio Bole Consigliere CNSD, Aaron Punt operatore doganale in Austria e Svizzera. Presente in sala anche una rappresentanza del Comando Provinciale di Venezia della Guardia di Finanza. Partecipano da remoto Rosanna Lanuzza, Dirigente della Direzione Dogane di Roma, Ufficio regimi e procedure doganali, e Martina Semenzato, Deputato della XIX Legislatura, Camera dei Deputati. Immancabile, infine, il contributo di Giacomo Morabito, informatico doganale del Gruppo Levia e coordinatore italiano di EurTradeNet.
Sotto i riflettori il regime 42, la sua disciplina, le modalità operative, le responsabilità ed i possibili vantaggi per gli operatori e, perché no, per il nostro Paese. Ma, facciamo un passo indietro, regime 42 o forse dovremmo dire regimi 42?
Figlio dell’abolizione delle frontiere e delle dogane, nel 1993, fra gli Stati membri dell’allora CEE e frutto di una fase transitoria (in realtà ancora in corso) degli scambi intracomunitari, il regime 42 si basa sulla nozione di libera pratica e sulla dissociazione, tutta europea, fra Stato membro in cui vengono assolte formalità ed obbligazione doganale, per le merci estere, e quello in cui le stesse vengono immesse in consumo.
Prende il nome dal codice indicato nell’ex casella 37 del DAU/IM, oggi data element 1/10 di una dichiarazione H1, e permette di risparmiare l’esborso finanziario corrispondente all’IVA nello Stato membro di immissione in libera pratica se viene realizzata una successiva cessione intracomunitaria, anch’essa esente, per la quale l’IVA viene assolta nel Paese di destinazione al consumo, mediante reverse charge.
Tutte le operazioni avvengono fra soggetti passivi (i privati sono esclusi dal regime 42) e senza l’obbligo di prestare una garanzia all’atto dello sdoganamento.
In concreto, per fare alcuni esempi, la ditta Alfa, italiana, può ricevere merce extra UE a Gorizia, immetterla in libera pratica e spedirla con cessione intracomunitaria ad un suo cliente tedesco.
Oppure la ditta Beta, francese, può immettere in libera pratica dei prodotti non unionali a Venezia e inviarli all’acquirente in Polonia, mediante cessione intracomunitaria fra il rappresentante fiscale di Beta in Italia ed il soggetto passivo polacco, oppure al suo stabilimento francese, grazie ad un’operazione assimilata alla cessione intracomunitaria fra rappresentante fiscale italiano di Beta e la sua partita IVA francese.
L’inglese Gamma, infine, può consegnare DDP al suo cliente croato vincolando i beni al regime 42 nel porto di Trieste (in questo caso avvalendosi di un rappresentante doganale indiretto) e realizzando, poi, una successiva cessione intracomunitaria fra il rappresentante fiscale italiano di Gamma ed il cliente in Croazia.
La disciplina del regime 42 è stata da sempre oggetto di una staffetta normativa tra regolamenti e direttive, due fonti distinte e dalla diversa capacità di entrare negli ordinamenti degli Stati membri. Ai primi, nucleo della legislazione doganale e direttamente applicabili, fanno, infatti, da contraltare direttive IVA (e accise) vincolanti nel risultato da raggiungere, ma la cui implementazione è a cura degli Stati membri, con conseguenti sfumature nazionali di istituti comunitari.
Non solo. L’ampia discrezionalità inizialmente lasciata agli Stati membri, ai quali erano affidati fissazione e monitoraggio delle condizioni per l’esenzione IVA, è stata alla base di recuperi (e sanzioni) a posteriori, di controlli poco armonizzati e di frodi fondate sull’utilizzo di operatori fittizi o sulla mancata spedizione della merce verso un altro Stato membro.
Tutti ingredienti che hanno alimentato la storica diffidenza verso quella libera pratica priva della contestuale immissione in consumo e, forse, l’amarezza di quegli operatori diligenti, scottati dall’utilizzo in buona fede di un regime 42 incontrollato o da una regolarizzazione IVA a posteriori per una sorta di “incompatibilità” con il regime 42 dichiarato in un altro Stato membro.
Nel 2009 la direttiva 69/CE del Consiglio ha avuto il pregio di stabilire, finalmente, requisiti minimi a livello europeo con l’obiettivo di ravvicinare le modalità operative e di contrastare, in questo modo, il fenomeno dell’evasione fiscale all’importazione. Vengono introdotte l’identificazione di importatore e acquirente, attraverso i numeri di iscrizione al VIES attribuiti rispettivamente dallo Stato membro di immissione in libera pratica e da quello di destinazione al consumo, e le informazioni riguardanti il trasporto intracomunitario.
Si tratta di dati che la direttiva 2009/69/CE impone di fornire alle autorità al momento dell’importazione. Informazioni che entrano prima nel DAU/IM, con regolamento UE 756/2012, attraverso i codici Y040 oppure Y042, Y041 e Y044, poi nelle dichiarazioni H1 come FR1 oppure FR3 ed FR2. L’integrazione di questi dati nella dichiarazione in dogana subordina lo svincolo della merce al controllo, da parte del sistema informatico doganale, dell’identificazione degli attori coinvolti nel regime 42.
Attualmente formano il quadro normativo del regime 42 l’articolo 201 del regolamento UE 952/2013, riguardante l’immissione in libera pratica di merci non unionali, e l’articolo 143, paragrafo 1, lettera d) della direttiva IVA 2006/112/CE, in combinato disposto con gli articoli 138 e 143, paragrafo 2.
Nonostante una maggior convergenza delle legislazioni nazionali, l’espressione regimi 42 non sembra del tutto superata: certe differenze fra Stati membri esistono ancora e gli interventi dei relatori e dei partecipanti al convegno ci portano ad approfondire il confronto fra regime 42 “made in Italy” e analoga procedura in Austria.
Per iniziare, piccole differenze lessicali…
Nel nostro Paese l’esenzione prevista dalla direttiva IVA per il regime 42 è confluita nell’articolo 67 DPR 633/1972 comma 2-bis e 2-ter, per quanto riguarda l’imposta sul valore aggiunto in import. La cessione intracomunitaria è, invece, disciplinata dall’articolo 41 DL 331/1993. In Austria la disposizione normativa di riferimento è l’articolo 6 paragrafo 3 della Umsatzsteuergesetz – UstG – 1994, Anhang Binnenmarkt (in avanti, per praticità, “allegato sul mercato interno della legge IVA austriaca 1994”).
Notiamo subito una differenza lessicale fra il nostro Paese e l’Austria. L’Italia, infatti, si esprime in termini di sospensione dal pagamento dell’imposta e di non imponibilità della cessione intracomunitaria.
L’allegato sul mercato interno della legge IVA austriaca 1994, invece, mantiene la parola Steuerbefreiungen, esenzione, restando più aderente ai termini utilizzati dal legislatore europeo (il capitolo al quale appartiene l’articolo 143 della direttiva 2006/112/CE nella versione tedesca è, appunto, rubricato Steuerbefreiungen bei der Einfuhr, esenzioni alle importazioni).
A ciascuno il suo rappresentante fiscale…. oppure no?
Il confronto fra il dettato normativo dell’articolo 67 comma 2-ter DPR 633/1972 e quello dell’articolo 6 paragrafo 3 dell’allegato sul mercato interno della legge IVA austriaca 1994 mette in luce, inoltre, l’assenza del rappresentante fiscale nel primo, che viene invece nominato esplicitamente nella disposizione austriaca (Steuervertreters, art. 6 paragrafo 3 lettera a)).
La francese Beta e l’inglese Gamma dei nostri esempi iniziali, quindi, effettuano il regime 42 nel nostro Paese mediante un rappresentante fiscale italiano, uno per ciascuna azienda, non ai sensi del comma 2-ter, ma secondo le istruzioni della nota ADM 3540/RU del 2014 e dell’articolo 17 DPR 633/1972 comma 3, dedicato al debitore d’imposta in caso di obblighi in materia IVA in capo a soggetti non residenti.
Se Beta e Gamma vincolassero la merce al regime 42 in Austria, potrebbero avvalersi, invece, del medesimo rappresentante fiscale (uno per tutti). Si tratta di un operatore doganale dotato di una partita IVA unica, chiamata Sonder UID, specifica per l’immissione in libera pratica nel territorio austriaco e successiva spedizione verso un altro Stato membro, ma a condizione che l’importatore sia un soggetto non residente in Austria (apposite linee guida del Bundesministerium für finanzen sono reperibili nel documento ZK-4200 Arbeitsrichtlinie Steuerbefreiung gemäß Art. 6 Abs. 3 UStG 1994).
Rappresentante in dogana, fiscale e responsabilità… regime 42 austriaco più severo?
L’Austria impone allo spedizioniere doganale che utilizza la Sonder UID ai fini della rappresentanza fiscale di importatori non austriaci, stabiliti o meno in UE, l’assunzione del ruolo di dichiarante in dogana. In altre parole, in questi casi lo spedizioniere doganale è obbligato ad utilizzare la rappresentanza indiretta.
Così facendo, lo spedizioniere doganale austriaco è responsabile dei dazi, ai sensi dell’art. 77 regolamento UE 952/2013, e dell’IVA all’importazione che, per l’analogia operata dalla normativa austriaca, segue la medesima disciplina dell’obbligazione doganale (articolo 26 Umsatzsteuergesetz – UstG – 1994).
Lo spedizioniere doganale austriaco, inoltre, in quanto rappresentante fiscale nell’ambito di una successiva cessione intracomunitaria, è responsabile anche dell’IVA ad essa correlata.
Nel nostro Paese, al contrario, l’obbligo di rappresentanza indiretta in dogana resta circoscritto ai casi di importatore non stabilito nell’UE (circolare ADM 40/2021) che, nei nostri esempi, corrisponde solo all’operazione dell’inglese Gamma.
Il rappresentante doganale indiretto in Italia, inoltre, ferma restando la sua responsabilità dal punto di vista dei dazi, non risponde dell’IVA all’importazione, come chiarito anche dalla giurisprudenza più recente (CGUE C-714/2020 del 12 maggio 2022 e Cassazione 23526 pubblicata il 27 luglio 2022).
Non può dirsi altrettanto, invece, del rappresentante fiscale che “risponde in solido con il rappresentato relativamente agli obblighi derivanti dall’applicazione delle norme in materia di imposta sul valore aggiunto” (art 17 DPR 633/1972 comma 3) ed è, quindi, responsabile sia dell’IVA all’importazione che dell’IVA legata alla cessione intracomunitaria.
Sotto quest’ultimo profilo, tanto in Austria quanto in Italia, l’esenzione (termine europeo ed austriaco) o la non imponibilità (termine italiano) della cessione intracomunitaria è subordinata ad un sistema di prove ferreo, il cui obiettivo è accertare l’arrivo nello Stato membro di destinazione finale.
Imprescindibile, quindi, ricevere ed archiviare la CMR timbrata e firmata a destino nella casella 24, in combinazione con gli altri elementi probatori previsti dall’articolo 45-bis del regolamento UE 282/2011, così come modificato dal regolamento UE 1912/2018, al fine di evitare che la cessione intracomunitaria venga considerata come interna, con conseguente recupero dell’IVA nazionale a posteriori.
Dichiarazione doganale: DAU o H1?
Austria e Italia non risultano, ad oggi, allineate dal punto di vista dello sviluppo dei sistemi informatici. Mentre il nostro Paese ha già dismesso da tempo il DAU/IM a favore dei tracciati H ed ora, mentre scriviamo, si sta preparando al passaggio per quanto riguarda esportazione e transito, l’Austria risulta fra gli Stati membri beneficiari di una deroga per il processo di reingegnerizzazione (Decisione di esecuzione UE 237/2023) e, ad oggi, continua ad utilizzare il formulario del DAU per le immissioni in libera pratica.
Regime 42: vantaggi e prospettive future?
L’esenzione dal pagamento dell’IVA all’importazione non è l’unico vantaggio del regime 42 che, a ben vedere, può presentare anche altre esternalità positive.
Permette, infatti, di evitare il transito esterno, vale a dire quel regime speciale al quale vengono vincolate le merci non unionali ai fini della circolazione da un punto all’altro del territorio UE, ad esempio dal porto d’arrivo al luogo presso il quale presentare e dichiarare le merci per l’immissione in libera pratica e consumo.
In questo modo, il regime 42 consente non solo il risparmio della garanzia associata al transito, obbligatoria salvo nei casi in cui l’operatore si avvalga di una garanzia globale e abbia i requisiti per beneficiare dell’esonero (articolo 84 regolamento UE 2446/2015), ma anche la tempestiva presentazione ed accettazione della dichiarazione in dogana, utile, ad esempio, in caso di contingenti soggetti a rapido esaurimento.
Attraverso il regime 42, inoltre, possono essere organizzate operazioni più complesse a favore della logistica nazionale. Pensiamo all’arrivo di una grossa partita di merce, da stoccare all’interno di un deposito doganale, dove effettuare manipolazioni usuali, per successiva immissione in libera pratica e spedizione dei prodotti verso vari Stati membri, in tutta Europa, solo per citare un esempio.
Ultimo, ma non meno importante, restano degli aspetti da chiarire, almeno tre dubbi che potrebbero essere, perché no, uno spunto per futuri incontri sul tema.
Il primo di questi riguarda le tempistiche che dovrebbero intercorrere fra l’immissione in libera pratica e la successiva cessione intracomunitaria, un punto importante per gli operatori ma sul quale sembrano mancare spiegazioni sia nella normativa che nei documenti di prassi.
Un ulteriore quesito si sofferma sul tipo di identificazione dei soggetti UE non residenti nello Stato membro di immissione in libera pratica. L’utilizzo di un rappresentante fiscale è d’obbligo, quale interlocutore nazionale (e forse garante?) per il fisco in caso di operatore stabilito all’estero, oppure è possibile anche l’identificazione diretta?
Il terzo aspetto riguarda le formalità extratributarie, pensiamo alla sorveglianza radiometrica, alla tutela del made in o ai controlli sanitari, solo per citare alcuni esempi. Si tratta di ambiti nei quali le divergenze fra Stati membri si acuiscono, sia perché la disciplina è posta spesso da direttive, sia a causa di prassi nazionali che sopravvivono, con il rischio che alla libera circolazione si sostituisca il cosiddetto “customs shopping”.
Elena Di Benedetto
AnaspeDoganaGiovani