di Annagiulia Randi
La logistica ormai da un anno, sta vivendo una profonda crisi, si muove in uno scenario paralizzato a causa della pandemia che ha ribaltato gli algoritmi esistenti e generato un’insostenibile incertezza. Non si può non rilevare di trovarsi oggi ad operare in molti terminal container congestionati e navi porta contenitori in rada in attesa di ormeggio, containers vuoti introvabili e lunghissimi ritardi nella restituzione degli stessi.
Ma andiamo con ordine.
Le operazioni di sbarco e imbarco delle merci, quelle di trasporto terrestre, portuale o di magazzino hanno subìto pesanti ritardi a causa dei lockdown messi in atto dai governi, della mancanza di manodopera e dell’attuazione di procedure atte a contenere la diffusione del virus. Va da sé che quindi molte navi restino per giorni interi fuori dai porti in attesa di un approdo, scombinando i programmi dei servizi di linea. Conseguentemente, le attività di posizionamento a terra e la restituzione dei containers vuoti alla catena logistica, vivono un rallentamento senza precedenti.
A questo si aggiunge una concreta indisponibilità di boxes. Molti di essi risultano bloccati per esempio in Nord America o in Europa dove, a seguito della prima ondata di COVID, molti operatori economici avevano importato una massiccia quantità di beni dall’Asia. In tal modo avevano accumulato innumerevoli cataste di contenitori. Per contro, l’Asia aveva diminuito significativamente le importazioni rendendo quindi impossibile la rispedizione di containers vuoti dall’altra parte dell’Oceano.
Dinamiche come queste hanno portato ad un forte squilibrio tra produzione e consumi tra le diverse aree del Pianeta. Come in ogni mercato libero è la domanda che spinge l’offerta, peccato però che oggi la domanda di container ed attrezzature superi di gran lunga l’offerta e questo inevitabilmente spinga i tassi al rialzo. Infatti, anche nel caso in cui qualche container risultasse disponibile, per molte piccole e medie imprese risulterebbe proibitivo accollarsi i noli attualmente praticati dagli armatori. Secondo l’indice dei tassi globali medi pubblicati da Drwery, il valore del nolo marittimo per merce in container, in costante ascesa dallo scorso giugno è schizzato a valori mai visti prima. Oggi, per una spedizione dall’Asia al Nord Europa, tale valore si aggira incredibilmente sui 10.000 $ per un 40 piedi ed intorno alla metà per un 20 piedi. Purtroppo sovente accade che questo sia di gran lunga superiore al valore della merce contenuta all’interno; ciò di fatto spinge le aziende a rinunciare del tutto alla spedizione,comporta per esse mancati approvvigionamenti e si traduce con lo stop della produzione aziendale.
Dopo il COVID e la BREXIT, questa è l’ennesima mazzata alla logistica italiana ancor prima che europea.
Durante i festeggiamenti del Capodanno lunare cinese le imprese in Asia si avviano a chiudere i battenti per almeno 2 settimane, l’auspicio che c’è da augurarsi è che questa tempistica possa essere utilizzata dirottando i containers vuoti in Asia cosicché le spedizioni per l’Africa, l’Europa e gli States possano finalmente riprendere senza ritardi e i noli possano tornare ad attestarsi su valori accettabili.
Ma c’è chi già ha iniziato a farlo. Gli shippers americani infatti, nei maggiori porti di California, New Jersey e New York, pur rischiando di contravvenire allo Shipping Act del 1984, stanno rifiutando carichi di merci agricole in export, preferendo a queste, pile di “scatole vuote” da riconsegnare.
E l’Europa? Lo scorso aprile la Commissione Europea prorogando per altri 4 anni il Regolamento CBER (Consortia BlockExemptionRegulation) ha rinnovato la possibilità per gli armatori di unirsi in consorzi di trasporto marittimo di linea senza particolari strettoie antitrust, in deroga alla normativa europea, permettendo a questi di ammortizzare meglio la crisi, per esempio producendo profitto anche in caso di blanksailing,a dispetto invece di spedizionieri, doganalisti, operatori portuali, aziende che invece necessitano della merce per sopravvivere.