Il contrabbando si configura nel passaggio clandestino delle merci tra diversi paesi, omettendo il pagamento dei diritti di confine (diritti doganali). Esso rientra nell’ambito dei reati doganali, da intendersi come l’insieme degli illeciti di rilevanza penale commessi in relazione alle operazioni in dogana. Si ritiene ai fini della configurabilità del reato del contrabbando l’elemento soggettivo richiesto sia il dolo generico, essendo sufficiente la coscienza e la volontà del fatto di reato. Il tentativo di contrabbando è equiparato, sotto il profilo sanzionatorio, al delitto consumato (articolo 293 TULD), la fattispecie che implica il compimento di atti, diretti in modo non equivoco a sottrarre le merci al pagamento dei diritti di confine, dovuti al momento della loro immissione in libera pratica. Quindi che si parli di contrabbando consumato o tentato, entrambi casi vengono visti come elementi di pericolosità sociale e devono essere puniti con eguali sanzioni.
La Convenzione di Nairobi demanda alle legislazioni dei singoli paesi aderenti il potere di definire i presupposti e di determinare le sanzioni che ritengono più appropriate. Il legislatore nazionale, all’interno del TULD, punisce il contrabbando con sanzioni di natura tanto amministrativa quanto, nei casi più gravi penali.
Il TULD disciplina il contrabbando semplice spiegandoci che è il movimento delle merci attraverso i confini di terra e gli spazi doganali (articolo 282), nei laghi di confine (articolo 283), per mare (articolo 284), per via aerea (285), nelle zone extra doganali (articolo 286), nel cabotaggio e nella circolazione (articolo 289), nonché attraverso irregolarità nella movimentazione delle merci ammesse a regimi speciali, quali merci importate con agevolazioni doganali (articolo 287), detenute in depositi doganali (articolo 288), ammesse a restituzione di diritti (articolo 290) ovvero a importazioni o esportazioni temporanee (articolo 291), la medesima sanzione si applicava a chiunque fuori dei casi previsti negli articoli citati, sottraeva, dolosamente, merci al pagamento dei diritti di confine. Con il decreto legislativo 15 gennaio 2016 n.8 il legislatore ha previsto la trasformazione in illeciti amministrativi di tutti i reati per i quali è prevista la sola pena della multa o dell’ammenda quindi, di conseguenza, il contrabbando semplice è punito con l’irrogazione della sola sanzione amministrativa, la cui misura è parametrata fra due e dieci volte i diritti di confine evasi, da un minimo di 5.000 ad un massimo di 50.000 euro: “non costituiscono reato e sono soggetto alla sanzione amministrativa del pagamento di una somma di denaro tutte le violazioni per le quali è prevista la sola pena della multa e dell’ammenda” e ai sensi del comma 2° “la disposizione del comma 1 si applica anche ai reati in esso previsti che, nelle ipotesi aggravate, sono puniti con la pena detentiva, sola o congiunta a quella pecuniaria. In tal caso, le ipotesi aggravate sono da ritenersi fattispecie autonome di reato”.
È evidente che il legislatore con tale decreto ha tentato di deflazionare il contenzioso, creando un giusto equilibrio tra gli interessi erariali e la tutela delle pretese.
Il decreto legislativo 75/2020 articolo 4 comma 1, (che ha recepito la direttiva UE 2017/1371 del 5 luglio 2017), è intervenuto limitando la depenalizzazione alle sole ipotesi in cui i diritti doganali di confine non siano superiori ai 10.000 euro. In tal modo il legislatore ha riportato nella sfera penale il contrabbando semplice nel caso in cui i diritti evasi siano maggiori di 10.000 euro e non superiori a 50.000 euro.
“All’articolo 1 comma 4 del decreto legislativo 15 gennaio 2016, n.8, dopo le parole – decreto legislativo 25 luglio 1998 n.286 – sono aggiunte: – nonché ai reati di cui al decreto del Presidente della Repubblica 23 gennaio 1973, n.43 quando l’ammontare dei diritti di confine dovuti è superiore a euro 10.000”.
Cosa ben diversa, invece, sono gli articoli 295 – 296 in cui non si applica questo decreto di depenalizzazione; il primo articolo affianca alla multa la reclusione da tre a cinque anni, se il colpevole è sorpreso a mano armata, se sono riunite tre o più persone, se il fatto è connesso con un altro delitto contro la fede pubblica o contro la pubblica amministrazione nonché in caso di associazione a delinquere, il reato si aggrava nel momento in cui oltre al danno arrecato all’Erario, siano posti in essere comportamenti lesivi di ulteriori interessi tutelati dall’ordinamento giuridico quali l’ordine pubblico e la pubblica fede. L’articolo 296 disciplina una specifica circostanza aggravante di natura soggettiva, rappresentata da due diverse ipotesi di recidiva: la prima nella commissione del delitto di contrabbando da parte di una persona già condannata per il medesimo delitto (recidiva semplice); la seconda nella commissione del delitto di contrabbando, da parte del già recidivo (recidiva aggravata).
Le misure di sicurezza personali e patrimoniali che vengono applicate per il reato di contrabbando sono disciplinate dagli articoli 300 – 301 del D.P.R. 23 gennaio
1973 n.43.
Il primo articolo ci parla delle misure di sicurezza personali non detentive cioè la libertà vigilata, che viene disposta nel momento in cui il soggetto è condannato alla reclusione superiore ad un anno. Per poter applicare la libertà vigilata il giudice dovrebbe dimostrare la pericolosità sociale dell’individuo anche se vi è un dibattito giurisprudenziale sulla questione poiché un orientamento ritiene che il giudice possa applicare questa misura senza dover motivare la pericolosità del soggetto, l’altra parte della giurisprudenza, invece, ritiene doveroso che ci sia il preventivo accertamento della pericolosità del reo a norma anche di quanto disposto dall’articolo 31, comma 2 della Legge 10 ottobre 1986 n.663.
L’articolo 301, invece, disciplina la confisca, ci spiega che è applicata sulle cose che servirono o furono destinate a commettere il reato e delle cose che ne sono l’oggetto, ovvero il prodotto o il profitto. Per poter legittimare la confisca delle cose che servirono a commettere il reato, è necessaria l’esistenza di un rapporto causale (cioè il legame eziologico tra un determinato evento, che sia esso originato ad un’azione umana o una forza naturale e produrrà una determinata conseguenza rilevante per l’ordinamento giuridico) effettivo ed immediato fra la cosa e il reato, nel senso che la prima deve risultare inequivocabilmente e soggettivamente collegata al secondo da un nesso strumentale, tale da rendere possibile l’esplicazione di un attività punibile.
La confisca è obbligatoria e deve essere posta dal giudice, sia nel caso di condanna ma anche in caso di proscioglimento o assoluzione per cause diverse da quelle che incidono sul fatto salvo esclusione del rapporto tra la res e il fatto (contrabbando), come anche nel caso di estinzione del reato per prescrizione. A seguito di un recente intervento della Corte costituzionale, tale misura non viene applicata sui beni che sono stati acquistati in buona fede da terzi.
Relativamente alla relazione tra il contrabbando e l’IVA all’importazione bisogna precisare che non è pacifico sotto l’aspetto normativo e giurisprudenziale che la sottrazione di una merce al pagamento dell’IVA all’importazione possa qualificarsi come contrabbando.
Il decreto di modifica, approvato dal Consiglio dei ministri e prossimamente in discussione alle Commissioni delle Camera e del Senato, in linea con quanto previsto dalla proposta di riforma del Codice Doganale dell’Unione inserisce, all’articolo 27, in maniera definitiva l’IVA tra i diritti doganali e i diritti di confine, eliminando qualsiasi dubbio in merito al fatto che la sottrazione di una merce al pagamento dell’Iva all’importazione rientra nel contrabbando.
Stiamo però a vedere come si adeguerà nell’effettivo la legislazione nazionale con le ultime indicazioni di armonizzazione dettate dalla UE, proprio dal punto di vista della disciplina sanzionatoria e con particolare riguardo, appunto, al contrabbando.
Dott. Giammaria De Gregorio
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