di Daniele Vicario.
Nonostante le innegabili incertezze economiche (e non solo) dell’attuale periodo dovute alla pandemia, pare utile affrontare, sin d’ora, l’analisi dei futuri scenari connessi con i meccanismi della liquidazione dell’iva in ambito unionale, come ipotizzati dalle Autorità di Bruxelles.
Come ormai accade da diversi decenni, il meccanismo di applicazione dell’iva in ambito unitario avviene ricorrendo a un “regime transitorio” (peraltro risalente all’ormai lontano 1993), nel quale ogni operazione di cessione subisce una tassazione iva “a destino”, ovvero nel Paese del compratore (cessionario).
Il meccanismo operativo, ormai consolidato, prevede che, ipotizzando la cessione di un bene fra soggetti passivi di Paesi Membri diversi
- Il cedente emetta fattura (obbligatoria), senza applicare l’iva del proprio Paese
- Il cessionario registri l’acquisto, liquidando l’iva dell’operazione nel proprio Paese, ricorrendo al noto meccanismo del reverse charge (o inversione contabile)
Pertanto, la liquidazione dell’iva si concreta nel Paese dell’acquirente (come peraltro previsto dal combinato degli artt. 7-bis e 7-ter del Dpr 633/72).
Per la sua natura, quindi, il regime “transitorio” prevede una frammentazione dell’operazione, laddove il venditore si comporta similmente all’esportatore (il quale fattura in non imponibilità nel proprio Paese), mentre sarà il compratore a liquidare (sostanzialmente versare) l’imposta sui consumi nel Paese di destino del bene (con il meccanismo del reverse, applicabile peraltro anche ai servizi).
Nel tempo, tale approccio ha dimostrato punti significativi di debolezza nell’ordinamento unitario, con la conseguenza che il legislatore europeo si è decisamente orientato verso un ribaltamento della logica operativa, indirizzandosi verso un nuovo sistema di tassazione iva da applicare ai soggetti passivi unionali.
Nel nuovo approccio, infatti, il legislatore intende pervenire, come vedremo nel tempo, a una tassazione intra unionale identica a quella attualmente in vigore nei singoli Paesi, ovvero con la fatturazione ivata (nei casi previsti dalla legge) delle singole operazioni di cessione o prestazione di servizi.
Traducendo il tutto in altri termini, l’effetto definitivo della riforma (sicuramente epocale, quando sarà completamente compiuta) determinerà sostanzialmente (o dovrebbe giungere a tale esito) un enorme mercato unico dell’iva comunitaria, laddove il venditore addebita l’imposta sui consumi al compratore (principio di rivalsa) e il compratore la subisce, detraendola successivamente dall’iva vendite da questi applicata alla sua clientela (principio di detrazione).
Ovviamente, nel caso in esame, si tratta di coordinare una gestione iva transfrontaliera, per la quale esiste il problema sostanziale derivante dalla difformità di aliquote esistenti nel panorama unionale (nella Ue, sono molto numerose le aliquote di imposta, naturalmente difformi fra Paese e Paese).
Per le premesse indicate, appare naturale pensare che l’avvicinamento al nuovo e definitivo regime iva debba avvenire per affinazione progressiva, ovvero sulla scorta di una serie di passi (steps) via via progressivi, con una tempistica predefinita e, inevitabilmente, molto estesa nel tempo.
In tale ottica, peraltro, la Ue ha già cominciato a introdurre alcune norme innovative in materia (come nel caso delle triangolazioni o delle prove delle operazioni unitarie, ad esempio), a partire dal 2020, e altre saranno in futuro introdotte.
Ai fini del presente intervento, si esaminano, allo stato attuale delle conoscenze, le novità che interesseranno le imprese nell’ambito delle cessioni dei beni transfrontaliere, il cui debutto dovrebbe avvenire il prossimo 01.07.2022.
- La “nuova” riscossione dell’iva
Per quanto detto in precedenza, e con riferimento esclusivamente alle cessioni unitarie (per il momento la potenziale riforma non riguarda i servizi, che verranno normati successivamente al 2022), l’applicazione dell’imposta sui consumi tendenzialmente viene spostata dal compratore (che provvede a liquidarla in vece del venditore, con il reverse charge) al venditore che, in linea di principio
- emetterà una ordinaria fattura di cessione munita di iva (e non più in “esenzione”, come definito il regime a livello Ue, in “non imponibilità” , come regime, in Italia)
- applicherà, tuttavia, non l’aliquota iva propria del Paese del cedente, ma di quella applicabile nel Paese del cessionario
- provvederà quindi a incassare l’imposta applicata, con successivo riversamento della stessa alle Autorità Fiscali del proprio Paese
con la logica, come si vede, delle cessioni domestiche.
In tale ultimo ambito, infatti, è necessario che l’imposta da applicare sia quella a destino (Paese del consumatore), onde evitare distorsioni nel percepimento dell’imposta all’interno dei vari Paesi.
Infatti, se si applicasse l’imposta nazionale e il consumatore unitario fosse soggetto a un’aliquota inferiore nel suo Paese, si determinerebbero situazioni nelle quali il cessionario andrebbe costantemente a credito di iva nel suo ordinamento (ad esempio, se in Italia l’iva ordinaria è al 22%, mentre in Finlandia è al 15%, un finlandese acquisterebbe un bene al 22% dall’Italia, ma venderebbe nel suo Paese, ad esempio la Finlandia, al 15%, andando a credito di iva in Finlandia).
Si noti che la scelta di applicazione dell’iva del Paese acquirente lascia intendere che, almeno per ora, è rinviata la decisione di uniformare le aliquote iva comunitarie (si trattava di un’ipotesi paventata ancora negli Anni Novanta del Secolo scorso, con l’idea di avere nella Ue solo tre aliquote di base, il 5%, 10%, 15% indicativamente in tutti gli Stati Membri).
- Soggetti interessati alla riforma dell’iva
Posto il meccanismo generale che, in futuro, sarà applicato indiscriminatamente fra partite iva (si rammenta che, invece, la fatturazione a privati prevede già l’applicazione dell’iva, seppur nazionale del venditore), per le ragioni sopra addotte il legislatore prevede sostanzialmente un regime transitorio, di passaggio cioè dall’attuale meccanismo operativo al definitivo meccanismo di tassazione “a destino”.
Sotto tale aspetto, in particolare, il legislatore europeo intende introdurre, quantomeno temporaneamente, una grande distinzione fra i soggetti passivi unionali, che verrebbero classificati, a partire dal 2022, fra
- soggetti certificati
- soggetti non certificati
Per “soggetto certificato” (c.d. CTP, Certified Taxable Person), il legislatore unionale individua un soggetto passivo che disponga di alcuni particolari requisiti
- assenza di violazioni gravi e ripetute alle normative doganali e fiscali, compresa l’assenza di trascorsi di gravi reati con riguardo all’attività economica dell’operatore
- dimostrazione, da parte del soggetto passivo, di un elevato livello di controllo delle operazioni e del flusso delle merci, attraverso un sistema di gestione delle scritture commerciali (ed eventualmente di quelle connesse con i trasporti) che permetta adeguati controlli doganali
- la solvibilità finanziaria dell’operazione (salvo la possibilità di fornitura di apposite garanzie)
Restano invece non certificati altri soggetti (muniti di identificativo fiscale), quali
- produttori agricoli in regime forfettario
- Pmi in regime forfettario
- soggetti che effettuano solo operazioni senza diritto alla detrazione iva
- altri casi residuali (alcuni peraltro non previsti nel nostro ordinamento)
- qualsia altro soggetto, diverso dai precedenti, che non possa rientrare nella casistica dei soggetti certificati.
La distinzione appare di notevole impatto operativo.
Per quanto riguarda i soggetti certificati, infatti, anche nel regime 2022 non cambia sostanzialmente nulla, potendo questi soggetti (in particolare quando compaiono come cessionari, ovvero acquirenti) continuare a operare gli acquisti intracomunitari con i noti meccanismi attuali (ovvero ricorrendo al reverse).
Per i soggetti non certificati, invece, debutterà il sistema di fatturazione ivata sopra descritta.
Ovviamente, quale conseguenza correlata di questo doppio binario, sarà confermata la predisposizione dei modelli Intrastat per i soggetti in reverse charge, mentre dovrebbe venir meno l’obbligo per i soggetti che fatturano con iva (seppur, ribadiamo, estera).
Secondo le ipotesi unionali, per ottenere la certificazione sarà sostanzialmente necessario aderire alle attuali procedure di accreditamento doganale quale operatore economico autorizzato (AEO), con tutti gli adempimenti conseguenti.
- Meccanismo di versamento del tributo
Per le premesse indicate in precedenza, bisogna ovviamente discriminare i due casi esposti.
Se il cessionario sarà un soggetto certificato, l’iva andrà applicata da questi, con il meccanismo del reverse, mentre il cedente fatturerà ovviamente senza applicazione di alcun tributo iva nazionale.
Nel caso di soggetto non certificato, invece, questi dovrà incassare l’iva estera dal cessionario, provvedendo (allo stato attuale delle conoscenze) al versamento del tributo ricorrendo allo Sportello Unico (One Stop Shop, o Moss).
Per quanto concerne il tributo incassato dal cedente, questi potrà, nelle attuali intenzioni della Ue, usufruire del sistema Mini One Stop Shop o Moss, già in utilizzo per particolari operazioni intraunionali (come i servizi TTE).
Esso prevede, previa registrazione su un sito istituzionale, che il venditore (con iva) possa dichiarare trimestralmente i dettagli delle operazioni effettuate verso le controparti estere (unionali, ad esempio), e anche di provvedere alla dichiarazione/versamento dell’imposta addebitata.
Sarà poi cura dell’Amministrazione Finanziaria del Paese del venditore provvedere ad inoltrare la dichiarazione e il versamento agli Uffici Fiscali esteri.
Volendo esemplificare l’intera procedura futura, se un soggetto passivo italiano fattura a un soggetto passivo francese, applicherà alla fattura italiana l’iva francese.
Quindi, provvederà a dichiararla e versarla con utilizzo del Moss.
Lo Stato italiano verserà poi allo Stato francese l’iva dell’operazione (meccanismo di clearing house, già esistente nella Ue).
- Superamento del regime attuale/regime 2022
Va ulteriormente precisato che quanto detto non rappresenta necessariamente l’ultimo step verso la tassazione iva intracomunitaria.
Infatti, il meccanismo descritto rappresenta sostanzialmente un’evoluzione del regime temporaneo, in quanto soggetto a verifica lungo il corso di un quinquennio.
In pratica, quindi, e a condizione che il meccanismo funzioni, fino quantomeno al 2027 (e sempre che si cominci nel 2022) il nuovo meccanismo sarà ancora a sua volta provvisorio.
Pare di interpretare lo step 2022 come una prova del futuro sistema di tassazione generalizzata a destino, per il momento limitata ai soggetti non certificati.
- Valutazione della riforma
Non vi sono dubbi, sotto certi profili, della volontà unionale di semplificare le procedure iva, ma non mancano, a parere di chi scrive, alcuni aspetti critici.
Il primo è contingente, correlandosi con la situazione pandemica, che potrebbe allontanare i tempi di partenza della riforma, stante la necessità, per le imprese, di destinare energie ad altri aspetti operativi, rispetto a quelli fiscali in esame.
In secondo luogo, se, come ritenuto da taluni interpreti, la maggioranza assoluta delle imprese sarà certificabile, ma al tempo stesso per queste non cambia il meccanismo attuale di operatività sull’estero unitario, non è molto chiaro perché non farle immediatamente transitare per il nuovo e definitivo regime, limitando la portata della riforma a una netta minoranza di imprese.
Non meno critico, in potenza, è l’aspetto burocratico connesso con la gestione della procedura di accreditamento AEO, procedura attualmente non obbligatoria o necessaria per operare con l’estero, così come l’assolvimento di eventuali obblighi di garanzia per operare sull’estero, come sopra precisati.
Infine, sarà sicuramente da verificare l’insieme degli atti amministrativi-fiscali di interpretazione della riforma, anche con riferimento alle regole di denuncia dell’iva (per cassa, per competenza), alla gestione delle tempistiche di versamento (soggetti mensili in Italia diventerebbero soggetti trimestrali nella Ue, con evidente discrasia di trattamento delle operazioni interne-esterne), ai rapporti fra saldi opposti di iva (compensazione fra debito iva in Italia e credito iva nella Ue, e viceversa), all’adeguamento delle dichiarazioni iva alle mutate esigenze comunitarie, alla sorte delle dichiarazioni Intrastat (che dovrebbero scomparire, per le operazioni ivate, ma che potrebbero rimanere in vita, per ragioni di controllo doganale, con duplicazione delle dichiarazioni connesse con la stessa operazione unitaria).