di Piero Bellante.
Con le sentenze C-496/19 e C-97/19, depositate entrambe il 16 luglio 2020 e adottate da collegi giudicanti in diversa composizione, la Corte di giustizia dell’Unione europea torna sui presupposti della revisione dell’accertamento doganale. Queste pronunce sono molto importanti, perché chiariscono, dettando delle vere e proprie linee guida, quali siano i limiti entro cui l’autorità doganale deve muoversi per valutare l’ammissibilità delle istanze di revisione. Le pronunce sono state emesse avendo come riferimento fatti risalenti, rispettivamente, al 2011 ed al 2012; quindi hanno avuto come oggetto la disciplina contenuta nell’art. 78 dell’abrogato codice doganale comunitario (reg. (CEE) n. 2913/92). Il nuovo codice, in vigore dal primo maggio 2016 (reg. (UE) n. 952/2013), non ha modificato la sostanza della norma, riproducendone il contenuto negli artt. 48 (controllo a posteriori) e 173 (modifica a posteriori della dichiarazione in dogana ad istanza di parte). Questa giurisprudenza, pertanto, si può pacificamente ritenere applicabile anche al quadro normativo attualmente vigente e contenuto nel codice doganale dell’Unione (CDU 2013). Una delle due sentenze, inoltre, è ancor più significativa poiché riguarda la rappresentanza in dogana.
Secondo la Corte, gli strumenti offerti dall’ordinamento doganale dell’Unione per rettificare una dichiarazione presentata «in linea» e, soprattutto, per chiederne ed ottenerne la revisione a posteriori, si ispirano al principio secondo cui oggetto e contenuto della dichiarazione devono essere conformi alla realtà dei fatti. Se una qualsiasi delle circostanze descritte nella dichiarazione risulti, a posteriori, non conforme alla realtà esistente al tempo della dichiarazione, il dichiarante ha sempre la possibilità di chiedere la revisione della dichiarazione entro il termine di legge. In tal caso, la discrezionalità dell’autorità doganale riguarderà soltanto il merito dell’istanza: in sostanza, l’istanza deve essere sempre e comunque esaminata (ed eventualmente anche rigettata con rigorosa motivazione), ma non può mai essere dichiarata inammissibile. La divergenza tra realtà e dichiarazione può essere dovuta ad un errore ostativo (ad esempio, si indica una valuta o una quantità al posto di un’altra), ad un errore che verte su uno degli elementi dell’accertamento (ad esempio, qualità, origine, valore), oppure può esser dovuta all’errata interpretazione di una norma di diritto (ad esempio, ritenersi esclusi dalle eccezioni eventualmente previste per l’applicazione di un dazio antidumping a causa di un’errata interpretazione della norma).
Nella sentenza C-496/19 la Corte ribadisce questo concetto laddove, richiamando la sua precedente giurisprudenza, precisa che la logica dell’art. 78 [del codice doganale comunitario, oggi art. 173 CDU 2013, n.d.r.] «consiste nel far coincidere la procedura doganale con la situazione reale, correggendo gli errori o le omissioni materiali nonché gli errori di interpretazione del diritto applicabile». «Di conseguenza – continua la Corte – l’autorità doganale non può […] respingere una domanda di revisione per il solo motivo che l’importatore non avrebbe contestato un controllo preventivo», cioè avrebbe accettato a suo tempo l’esito di una verifica fisica della merce (punti 21 e 26, sent. cit.). Questa affermazione, del tutto condivisibile, getta un’ombra importante di illegittimità sulle disposizioni contenute nell’art. 61, ultimo comma, e 66, ultimo comma, TULD, secondo le quali, decorso il termine per le contestazioni su risultato di analisi e su contestazioni «in linea» la pretesa della dogana «si intende accettata».
La Corte, seguendo il principio di corrispondenza necessaria tra realtà e dichiarazione, non esclude in queste pronunce la possibilità per l’autorità doganale di riesaminare anche una decisione adottata al termine di un controllo a posteriori o di una revisione dell’accertamento (punto 21, cit.); tuttavia, in passato la Corte ha escluso che l’autorità doganale possa ritornare sui propri passi una volta adottata una decisione su revisione (cfr. CGUE, sentenza del 5.12.2002, Overland Footwear Ltd., causa C-379/00, EU:C:2002:273, punto 24). Vedremo come evolverà la giurisprudenza su questo punto.
Ancor più significativa è la pronuncia resa nella causa C-97/19. In questo caso la Corte apre a scenari del tutto nuovi, che in un futuro potrebbero anche portare ad ammettere la sostituzione soggettiva, cioè la sostituzione (a posteriori) dell’identità del dichiarante a suo tempo indicata nella dichiarazione. Nel caso di specie un operatore che aveva agito in rappresentanza indiretta dell’importatore aveva constatato che, al momento dell’importazione, avrebbe invece potuto dichiarare in rappresentanza diretta in quanto, precedentemente al deposito della dichiarazione, il proprio mandante gli aveva conferito una procura in tal senso.
I giudici sono partiti dalle stesse premesse in diritto di cui alla sentenza C-496/19 per affermare che nessuna disposizione del codice «vieta che elementi della dichiarazione in dogana, come le informazioni riguardanti la persona del dichiarante, in particolare l’esistenza di un rapporto di rappresentanza indiretta, possano essere modificati» sulla base della disposizione che oggi possiamo leggere nell’art. 173 CDU 2013 (ex 78 CDC). Questa disposizione, afferma la Corte, «può trovare applicazione in una situazione in cui il mandatario è in grado, anche dopo lo svincolo delle merci, di presentare la procura con la quale gli era stata data istruzione di presentare la dichiarazione in dogana» (punti 37 e 43, sent. cit.). Anche perché l’art. 78 (ora 173 CDU 2013) «si applica dopo la concessione dello svincolo e, di conseguenza, dopo il pagamento o la garanzia dell’obbligazione doganale»: è evidente, pertanto, «che la modifica delle informazioni relative alla persona del dichiarante non incide sull’esistenza del rischio di mancato pagamento dell’obbligazione doganale» (punto 50, sent. cit.).
In entrambi i casi la conclusione cui sono giunti i giudici del Lussemburgo è tranchant: In circostanze di fatto come quelle evidenziate nelle sentenze in commento, «se una revisione risulta in via di principio possibile, le autorità doganali devono o respingere la domanda del dichiarante con decisione motivata o procedere alla revisione richiesta» (cfr. C-97/19, punto 30).
Queste due pronunce segnano anche un punto a favore del contribuente rispetto alla giurisprudenza della Corte di cassazione che, diversamente dalla Corte di giustizia, interpreta la normativa sulla revisione dell’accertamento in senso ingiustificatamente più rigoroso: secondo la Corte di cassazione, infatti, la revisione sarebbe possibile soltanto nel caso di «errori involontari dell’interessato, siano essi di fatto o di diritto», senza alcun riferimento al principio di necessaria corrispondenza della realtà con la dichiarazione (cfr. Cass. trib., 12.2.2013, dep. 27.3.2013, n. 7716). Ancora una volta la Corte di giustizia dell’Unione europea, adìta in sede pregiudiziale interpretativa da parte dei giudici nazionali, si rivela come interprete qualificato ed insostituibile delle disposizioni che compongono il sistema doganale dell’Unione.