Oggetto di queste brevi note è il corretto trattamento IVA delle cessioni di stampi effettuate da operatori stabiliti nel territorio dello Stato nei confronti di Clienti non residenti.
La realizzazione di uno stampo costituisce – se isolatamente considerata – una prestazione di servizio e, segnatamente, l’oggetto di un contratto d’opera o d’appalto regolamentato sotto il profilo civilistico, rispettivamente, dagli Artt. 1655 e seguenti c.c. e dagli Artt. 2222 c.c.; sotto il profilo fiscale il trattamento dell’operazione ricade inequivocabilmente nell’ambito dell’Art. 3 comma I d.p.r. 633/1972.
La realizzazione di uno stampo commissionata da un operatore non residente ad un soggetto passivo stabilito nel territorio dello Stato soggiace quindi alle regole di territorialità IVA previste per i servizi e, in particolare, alla disposizione dell’Art. 7 ter comma I lettera a) d.p.r. 633/1972: si tratta, quindi, di una prestazione non soggetta ad imposta per carenza del requisito territoriale e soggetta a rilevamento INTRASTAT come “prestazione di servizio generica”. Detta operazione pertanto non concorrerà alla formazione del plafond disponibile per l’anno successivo.
È peraltro frequente, nella prassi, l’instaurarsi tra il committente non residente e l’operatore stabilito nel territorio dello Stato di un rapporto avente natura mista: l’accordo prevede in questi casi sia la realizzazione per conto del committente dello strumento produttivo (lo stampo) sia l’utilizzo dello stesso da parte del produttore per la realizzazione di beni destinati ad essere inviati in altro Stato membro ovvero in territorio extracomunitario.
Tale fattispecie concreta, sotto il profilo civilistico, un’ipotesi di contratto misto che riunisce le caratteristiche della vendita e dell’appalto ed è stata analizzata nel dettaglio dalla Circolare Ministeriale 13-VIII-15-464/1994 al paragrafo B.2.3.
La Circolare in commento riconduce tali contratti “misti” ad una unica cessione (intracomunitaria o esportazione in funzione del luogo di stabilimento del committente/acquirente) al ricorrere di due precise condizioni:
– che tra l’operatore non residente ed il soggetto passivo stabilito nel territorio dello Stato venga stipulato un “unico contratto di appalto” avente ad oggetto sia la realizzazione del cespite (stampo) sia la fornitura dei beni che tramite esso debbono essere prodotti;
– che lo stampo, a fine lavorazione, sia inviato al committente/acquirente ovvero il medesimo – per accordi contrattuali – alla fine dell’ordinario processo di produzione sia distrutto o divenuto inservibile.
Al ricorrere congiunto delle condizioni sopra elencate la realizzazione dello stampo viene assorbita nella fattispecie della vendita e quindi l’appaltatore/cedente nazionale è legittimato a fatturare il cespite ai sensi dell’Art. 41 d.l. 331/1993 o dell’Art. 8 d.p.r. 633/1972 in relazione, ovviamente, al luogo di stabilimento dell’appaltante/cessionario.
Nell’ipotesi più semplice, ossia quando l’estensione dell’ordinario processo di produzione può essere individuata a priori con una certa precisione (con riferimento, ad esempio, al numero di pezzi da produrre ovvero al lasso temporale per il quale lo stampo dovrà rimanere in uso) l’appaltatore/cedente stabilito nel territorio dello Stato dovrà preoccuparsi soltanto di provare – al fini di legittimare l’applicazione alla cessione dello stampo del beneficio della non imponibilità IVA – l’unità ab origine del contratto di produzione dello stampo e della produzione dei beni da inviare in altro Stato membro o da esportare: in tal caso corretta prassi vuole che il contratto venga documentato per iscritto e che il documento contenga sia il riferimento allo stampo da produrre sia il riferimento alla realizzazione dei prodotti finiti oggetto di successiva cessione. È altresì necessario che il contratto contenga esplicita menzione della sorte dello stampo alla fine del ciclo di produzione con indicazione che il medesimo sarà reso o distrutto.
Al fine di dimostrare, a fine lavorazione, l’avvenuta distruzione dello stampo il soggetto stabilito in Italia dovrà attivarsi secondo le procedure previste dall’Art. 2 comma IV d.p.r. 441/1997 ovvero consegnare il bene a soggetti abilitati allo smaltimento che provvederanno ad identificarlo ai sensi dell’Art. 193 d.lgs. 152/2006. Qualora invece il bene venga restituito al committente la prova potrà essere costituita dalla documentazione di trasporto: ad esempio, d.d.t. corredato dalla relativa CMR.
Ognuno vede che il cuore della questione è costituito dall’individuazione del momento della fine lavorazione, rispetto alla quale lo stampo non è più legittimato a permanere presso i magazzini dell’appaltatore/cedente (si da naturalmente per scontata la registrazione dello stampo stesso nei conti d’ordine trattandosi di un bene di terzi) pena l’assoggettabilità ad imposta della relativa cessione.
Quid iuris, quindi, nel caso in cui la “fine lavorazione” non possa essere individuata con certezza a priori nel momento della conclusione del “contratto unico d’appalto” per la realizzazione dello stampo e la cessione dei beni da prodursi con esso? Il caso, lungi dall’essere un’ipotesi scolastica, riguarda tutti gli operatori il cui ciclo produttivo sia legato ad andamenti a ciclo discontinuo: ne è un esempio classico il settore della moda.
In questa ipotesi l’appaltante/acquirente richiede la realizzazione di uno stampo il cui ciclo produttivo può essere caratterizzato da fasi alterne di lavorazione e di stasi in funzione dell’andamento del mercato e del ciclo di vita del prodotto.
Poiché secondo quanto previsto dalla Circolare sopra richiamata è inammissibile ipotizzare che uno stampo ceduto in regime di non imponibilità possa rimanere presso i magazzini dell’appaltatore/cedente a tempo indefinito è necessario introdurre un meccanismo che consenta di individuare il momento della “fine lavorazione” allo scopo di determinare quando l’appaltatore/cedente ha l’obbligo di distruggere del cespite o di restituirlo al committente/acquirente pena – in ipotesi di accertamento – l’assoggettabilità ad IVA della relativa cessione e l’applicazione delle relative disposizioni sanzionatorie.
La soluzione a questo problema può consistere nel prevedere, nel corpo del contratto unico d’appalto e fornitura dei beni, un termine massimo entro il quale il committente/acquirente deve effettuare all’appaltatore/cedente un ordinativo di beni riconducibili allo stampo de quo ulteriore rispetto a quello effettuato in concomitanza della conclusione del contratto: in mancanza di alcun ordinativo entro il suddetto termine l’appaltante/cedente procederà senza altro avviso alla distruzione ovvero alla restituzione dello stampo in conformità agli accordi contrattuali. L’ ordine sarà poi idoneo a far decorrere ex novo un ulteriore “termine massimo” e così via.
In ipotesi di verifica, pertanto, il soggetto passivo stabilito nel territorio dello Stato – mediante l’esibizione del contratto – potrà dimostrare ai verificatori da un lato che l’avvenuta fatturazione dello stampo in regime di non imponibilità IVA è stata legittima in quanto fondata sull’esistenza di un contratto unico di appalto per la realizzazione di uno stampo e per la successiva cessione (fuori dal territorio nazionale) di beni con esso prodotti; dall’altro che il momento della “fine lavorazione”, essenziale per il divenire attuale dell’obbligo di distruzione o restituzione dello stampo stesso al fine di mantenere il regime di non imponibilità della cessione, è stato tenuto sotto controllo mediante la previsione di un termine massimo entro il quale il committente/acquirente deve effettuare un ordinativo di prodotti riconducibili allo stampo: stampo che, di conseguenza, deve considerarsi commercialmente attivo sino a quando sia realizzata una successione non interrotta di ordinativi nel rispetto, per ciascuno, del termine massimo contrattualmente previsto. Al verificarsi delle suddette condizioni la permanenza del cespite presso i magazzini dell’appaltatore/cedente non dovrebbe essere considerata elemento tale da far perdere alla cessione il beneficio di non imponibilità fermo restando – lo si ribadisce – il rispetto da parte dell’appaltante/acquirente, del termine massimo per gli ordinativi successivi al primo.
Najdat Al Najjari – Glawbe Avvocati e Consulenti d’Affari