di Piero Bellante.
La Corte di giustizia dell’Unione europea è intervenuta con la sentenza del 19 novembre 2020, causa C-775/19, sulla controversa nozione di «condizione della vendita». L’occasione è stata fornita da una vertenza sorta durante la vigenza del codice doganale del 1992, in cui si discuteva se un pagamento effettuato dall’importatore al venditore, come corrispettivo per la concessione di un diritto di distribuzione esclusiva, costituisse o meno una «condizione della vendita». Se la risposta fosse stata positiva, allora questo corrispettivo, se non già incluso nel valore di transazione, sarebbe stato suscettibile di essere aggiunto al valore di fattura secondo i principi generali che governano i criteri per la determinazione del valore in dogana.
La Corte UE si è spinta di rado su questo terreno, essendosi per lo più limitata ad intervenire sulla nozione di «condizione della vendita» a proposito dei corrispettivi o diritti di licenza (royalties) per l’uso di diritti di proprietà industriale. Il tema della concessione di un diritto di distribuzione esclusiva non risultava ancora affrontato. La risposta al quesito è stata affermativa: secondo la Corte «l’articolo 29, paragrafi 1 e 3, lettera a), del regolamento (CEE) n. 2913/92, […], dev’essere interpretato nel senso che un pagamento, effettuato per un periodo limitato, dall’acquirente di merci importate al loro venditore, come contropartita della concessione, da parte di quest’ultimo, di un diritto di distribuzione esclusiva di tali merci su un determinato territorio, e calcolato sul fatturato realizzato su tale territorio, deve essere incluso nel valore in dogana di dette merci».
L’affermazione è importante: i corrispettivi versati per diritti di distribuzione esclusiva, infatti, non sono inclusi tra gli elementi integrativi obbligatori da aggiungere al valore di transazione ai sensi dell’art. 32 CDC 1992 (v. ora l’elenco contenuto nell’art. 71 CDU 2013). I «corrispettivi o i diritti di licenza descritti in queste due norme, così come individuati nell’art. 157, comma 1, DAC 1993, riguardano infatti i pagamenti effettuati da un compratore ad un venditore per l’uso dei diritti di proprietà intellettuale, non anche per concessioni diverse come sono quelle relative ad un diritto di distribuzione. Ma la novità è costituita dal fatto che i giudici del Lussemburgo, per giungere a questa conclusione, definiscono in via generale cosa debba intendersi con l’ambigua locuzione di «condizione della vendita», introdotta in via generale nell’ordinamento doganale comunitario dal codice del 1992 ma sconosciuta a livello delle fonti doganali condivise a livello internazionale. Su questo tema, sia consentito il rinvio a P. Bellante, Il sistema doganale. Evoluzione, istituti, adempimenti, G. Giappichelli Editore, Torino 2020, pag. 684 ss.
Il valore di transazione può essere definito come «il prezzo effettivamente pagato o da pagare» dal compratore al venditore o ad un terzo a beneficio del venditore, come corrispettivo per l’acquisto delle merci «importate», completo di tutti i pagamenti, diretti o indiretti, «che sono stati o devono essere effettuati» (art. 1 accordo per l’inter¬pre¬tazione dell’articolo VII GATT (1994); art. 29 CDC 1992; art. 70, commi 1 e 2, CDU 2013; art. 129 RE 2015). Le fonti di rango internazionale ed il codice doganale, nelle sue diverse versioni, non contengono un espresso riferimento alla nozione di prezzo come corrispettivo del trasferimento della proprietà, dal venditore al compratore, delle merci da valutare. Nell’art. 1 dell’accordo per l’applicazione dell’articolo VII GATT 1994 è stata usata l’espres-sione «price actually paid or payable for the goods when sold for export to the country of importation» e la nota interpretativa all’art. 1 dell’accordo cit. indica genericamente che tale prezzo si riferisce «alle merci importate». Le stesse definizioni si rinvengono nel reg. (CEE) n. 1224/80 sul valore in dogana.
Il codice doganale invece, sia nella versione del 1992, sia in quella in vigore dal 1.5.2016, ha introdotto l’infelice definizione di prezzo pagato o da pagare come «condition of sale of the imported goods» (art. 29, comma 3, lett. a, CDC 1992; art. 70, comma 2, CDU 2013). Attribuire l’esatto significato giuridico alla locuzione «condizione della vendita», che ricorre anche in altre parti della disciplina unionale dedicata alle regole per la determinazione del valore in dogana, costituisce un autentico rompicapo; soprattutto se riferita all’elemento dei corrispettivi e/o diritti di licenza da valutare come eventuali elementi integrativi del valore di transazione.
È quindi fondamentale stabilire il significato univoco di questa locuzione nel linguaggio utilizzato dal legislatore dell’Unione europea. Se analizziamo il contesto dove questa locuzione viene attualmente utilizzata, cioè nell’art. 70, commi 1 e 2, CDU 2013, dove viene descritto il contenuto tipico di un contratto di compravendita (cessione di un bene a fronte del pagamento di un prezzo), non possono sussistere dubbi sul fatto che essa debba essere interpretata non nel senso letterale di «condizione», cioè di elemento accidentale futuro ed incerto del contratto, bensì nel senso sostanziale di corrispettivo per il trasferimento della proprietà delle merci oggetto del contratto: il «prezzo effettivamente pagato o da pagare», completo di «tutti i pagamenti che sono stati o devono essere effettuati, come condizione della vendita delle merci importate», nel linguaggio utilizzato dal legislatore unionale non può che riferirsi alla controprestazione a fronte della consegna della merce; «condizione della vendita», dunque, da intendersi come corrispettivo.
Precisata la natura di corrispettivo del valore di transazione, in esso devono essere compresi, se già non inclusi nel prezzo «pagato o da pagare», eventuali altri costi sostenuti dal compratore, ad esempio, per l’acquisto di garanzie convenzionali direttamente dal venditore o da un terzo indicato dal venditore (ad esempio un assicuratore) per eventuali difetti delle merci oggetto del contratto, se questi ulteriori costi non sono espressamente esclusi dalla normativa sulla determinazione del valore in dogana.
Ed è esattamente questo quello che ha affermato la Corte nella sentenza in commento: «sebbene nessuna disposizione del codice doganale o del regolamento di esecuzione contenga una definizione della nozione di “condizione della vendita”, […], dalla giurisprudenza della Corte risulta che, al fine di preservare la priorità del metodo del valore di transazione, le nozioni contenute [nell’]art. 29 [CDC 1992, n.d.r.] devono essere interpretate in senso ampio. […]». In tal senso – prosegue la Corte – considerato che il valore di transazione è costituito dal prezzo totale effettivamente pagato o da pagare come condizione della vendita delle merci importate (art. 29, comma 3, CDC 1992; ora 70, comma 2, CDU 2013), per stabilire se questo pagamento configuri questa condizione bisogna stabilire se il pagamento «rivesta un’importanza tale per il venditore che, in mancanza dello stesso, quest’ultimo non procederebbe alla vendita» (sent. cit., punti 40 e 41)..
Impostando così la questione, però, l’elenco integrativo obbligatorio di cui all’art. 32 CDC 1992 (ora art. 71 CDU 2013) cessa di essere un elenco chiuso e, per il combinato disposto con l’art. 29 cit. (ora art. 70 CDU 2013), il suo contenuto si estende potenzialmente fino a comprendere ogni altro elemento che, non essendo incluso nel valore di transazione, concorra tuttavia all’individuazione di questo valore. Come avviene, conclude la Corte, per i corrispettivi versati per la concessione del diritto di distribuzione o di vendita nel territorio doganale di riferimento. La prova della validità di questo ragionamento consiste nel fatto che, in modo speculare, l’art. 32, comma 5, lett. b, CDC 1992 (ora art. 72, lett. g, CDU 2013) prevede che questi particolari corrispettivi, che non sono indicati nell’elenco di cui sopra, non debbano essere inclusi nel valore di transazione quando essi non costituiscono condizione della vendita.
In altri termini, l’impostazione della Corte porterebbe a concludere che l’attuale art. 71 CDU 2013, così come il precedente art. 32 CDC 1992, descriva il contenuto minimo degli elementi obbligatori che devono essere aggiunti (se già non compresi in esso) al prezzo pagato o da pagare ai fini della determinazione del valore in dogana; elementi obbligatori tipici, cui dovrebbero essere eventualmente aggiunti altri elementi non tipizzabili a priori, ma che possono costituire «condizione della vendita» nel senso di «corrispettivo» integrativo del prezzo. Tuttavia questo orientamento della Corte contrasta con il dettato di cui all’ultimo comma dell’art. 71 cit., secondo cui «in sede di determinazione del valore in dogana sono addizionati al prezzo effettivamente pagato o da pagare solo ed esclusivamente gli elementi previsti dal presente articolo».