di Piero Bellante
Nel caso in cui le merci unionali siano invece oggetto di esportazione, non cessano di essere considerate unionali a questi fini e sono soggette alle misure di salvaguardia eventualmente previste per le merci in esportazione (ad esempio licenze all’esportazione) oppure a quelle eventualmente previste nell’ambito della politica agricola comune (salvo che si possa dare la prova che le merci abbiano acquisito la posizione non unionale perché immesse in libera pratica durante la loro permanenza all’interno della zona franca).
L’introduzione in una zona franca non ha limiti di durata, salvo quanto previsto in via generale per tutti i regimi di deposito. Tutte le merci introdotte in una zona franca sono altresì ammesse alle manipolazioni usuali, come previsto per i regimi di deposito doganale o di perfezionamento, secondo le disposizioni comuni di cui all’art. 220 CDU 2013 e dell’allegato n. 71-03 al regolamento delegato RD 2015, cui si fa rinvio.
A seconda della loro posizione doganale, tutte le merci introdotte in una zona franca possono essere esportate o riesportate dal territorio doganale dell’Unione, oppure introdotte in un’altra parte di esso (ovviamente nel rispetto della normativa doganale applicabile per l’introduzione nel territorio, ivi comprese le disposizioni per la custodia temporanea, di cui agli artt. da 134 a 149 CDU 2013), con l’effetto di determinare in questo modo la conclusione del regime di deposito in zona franca (art. 248 CDU 2013).
Una disposizione di chiusura, l’art. 246, comma 2, CDU 2013, prevede per le merci unionali che su richiesta dell’interessato l’autorità doganale ne determini formalmente la posizione quando:
• sia introdotta nella zona franca;
• sia stato oggetto di operazioni di perfezionamento all’interno di una zona franca;
• sia immessa in libera pratica all’interno di una zona franca.
L’introduzione in una zona franca non è soggetta a formalità ed il vincolo al regime di zona franca avviene, di norma, per fatto concludente: «fatto salvo l’articolo 246 [CDU 2013 relativo alle merci unionali che possono essere liberamente introdotte, immagazzinate, spostate, utilizzate, trasformate o consumate, n.d.a.], le merci introdotte in una zona franca si considerano vincolate al regime di zona franca:
• al momento del loro ingresso in una zona franca, a meno che non siano già state vincolate ad un altro regime doganale; oppure
• al momento della conclusione di un regime di transito, a meno che non siano immediatamente vincolate a un regime doganale successivo» (art. 245, comma 2, CDU 2013).
Vi sono, tuttavia, quattro importanti eccezioni, che riguardano alcuni casi particolari espressamente descritti nell’art. 245, comma 1, CDU 2013. In questi casi si applicano le disposizioni ordinarie previste per la presentazione della merce in dogana e per la sua dichiarazione nelle forme previste dall’ordinamento.
Il titolare del regime di deposito in zona franca, in particolare se esercita attività di vendita o di acquisto di beni all’interno di essa, è soggetto agli ordinari obblighi di documentazione mediante utilizzo di adeguate e complete scritture contabili (art. 214 CDU 2013; art. 178, comma 2, RD 2015); si applicano altresì le disposizioni generali per l’appuramento del regime, laddove non diversamente disposto, per il trasferimento di diritti ed obblighi del titolare e per la circolazione in uscita dal territorio doganale dell’Unione europea (artt. 215, 218, 219 CDU 2013; art. 267 RE 2015). Nell’ambito del regime di zona franca può essere altresì utilizzato l’uso delle c.d. merci equivalenti (art. 223, comma 2, lett. a, CDU 2013; art. 268 RE 2015).
Ai sensi dell’art. 79, comma 1, lett. c, l’inosservanza di una condizione per il vincolo di merce non unionale ad un regime doganale comporta la nascita dell’obbliga¬zione tributaria doganale a carico del titolare del regime e degli altri soggetti eventualmente coobbligati.
Il fatto che le zone franche siano assimilate ai territori extra doganali, tuttavia, non significa che all’interno di esse il detentore della merce sia svincolato dall’osservanza di qualsiasi norma e che non possa essere assoggettato a controlli di natura extratributaria: non si deve dimenticare che le zone franche sono comunque istituite sul territorio sovrano degli Stati dove esse si trovano e tutti i soggetti che si trovano all’interno di esse restano soggetti alla giurisdizione dello Stato di riferimento ed alle leggi ivi in vigore. Queste conclusioni sono ormai condivise dalla consolidata giurisprudenza e dalla più autorevole dottrina anche con riferimento alla particolare realtà costituita dal porto franco internazionale di Trieste.
Innanzitutto, secondo i principi generali, è sempre possibile vietare l’ingresso della merce per motivi di ordine pubblico in un deposito doganale o in una zona franca. Questa possibilità è prevista, in generale, per tutte le merci in entrata o in uscita nel territorio doganale dell’Unione in conformità a quanto previsto dall’art. 36 TFUE; in particolare, è prevista dall’ordinamento doganale dell’Unione europea in attuazione dei principi generali di vigilanza e controllo, secondo i comuni criteri che governano le analisi di rischio (cfr. art. 5, punto 27; artt. 46, 134, 267 CDU 2013).
Il tema dei controlli extratributari nelle zone franche è molto delicato e costituisce oggetto di particolare attenzione da parte delle istituzioni dell’Unione europea e dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE) con sede a Parigi. Il Consiglio OCSE ha adottato il 21 ottobre 2019 una raccomandazione sul contrasto al commercio illecito che avviene attraverso le zone franche. I paesi OCSE e gli altri paesi che aderiscono a questa raccomandazione promuovono il rafforzamento della trasparenza di queste zone assicurando il rispetto delle buone prassi in essa indicate. L’OCSE sollecita, in particolare, l’adozione del codice di condotta allegato alla raccomandazione da parte dei paesi ad essa aderenti, che conduca all’individuazione di zone franche ad esso conformi. Unione europea e Italia hanno aderito raccomandazione.
L’Unione europea aveva espresso la propria posizione conforme con la decisione n. 799/2021/UE del Consiglio del 16 settembre 2019, relativa alla posizione da adottare in seno al Consiglio OCSE sul progetto di raccomandazione. Nell’allegato alla decisione n. 799/2021/UE si riconosce che «a seguito della proliferazione delle zone franche nel contesto dinamico della globalizzazione, esse occupano ormai un posto centrale nelle attività economiche per molti paesi e produttori importanti» e che «la portata degli interventi o dei controlli doganali è spesso insufficiente o assente». Le criticità rilevate riguardano il possibile commercio illecito che può transitare da una zona franca, come quello che riguarda i prodotti contraffatti, la fauna protetta, le armi o l’introduzione di contanti in quantità ingente ed il cui utilizzo non consente la tracciabilità delle operazioni commerciali cui sono destinati.
Il Parlamento europeo si era espresso in senso ancor più rigoroso, nella propria risoluzione del 23 marzo 2019 sui reati finanziari, l’evasione fiscale e l’elusione fiscale. In questa risoluzione il Parlamento, dopo aver osservato, tra l’altro, che «i porti franchi o le zone franche non possono essere strumentalizzate a fini di evasione fiscale o di ottenere gli stessi effetti di un paradiso fiscale», invitava la Commissione europea «a presentare una proposta per l’urgente graduale eliminazione del sistema dei porti franchi» nell’Unione europea.
Anche la quinta direttiva antiriciclaggio n. 843/2018/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, che ha modificato la precedente direttiva antiriciclaggio n. 849/2015/UE, prende in considerazione i porti franchi laddove estende le disposizioni della direttiva n. 849/2015/UE alle «persone che conservano o commerciano opere d’arte o che agiscono in qualità di intermediari nel commercio delle stesse, quando tale attività è effettuata da porti franchi», se il valore dell’operazione o di una serie di operazioni legate fra loro sia pari o superiore a 10.000 euro.