di Daniele Spagnol
Si è svolto a Pordenone presso il Centro Congressi dell’Hotel Moderno, nella mattinata del 28 ottobre 2014, il convegno dedicato alle imprese che operano con l’estero, promosso da Sandro Blarasin, Doganalista iscritto all’Albo del Friuli Venezia Giulia. Dopo i saluti portati dal dott. Agrusti per l’Unione Industriali di Pordenone e del dott. Liberti in rappresentanza del dott. Bortoluzzi, Presidente dell’ Interporto Centro Ingrosso di Pordenone, hanno preso la parola i relatori dott. Zeno Poggi e avv. Piero Bellante cha hanno approfondito i temi legati alle nuove frontiere commerciali e la responsabilità delle imprese nella conclusione dei contratti di vendita internazionali non trascurandone i profili doganali. Al convegno hanno partecipato rappresentanti dell’industria locale e delle regioni confinanti, unitamente ad operatori del settore servizi.
Il convegno è apparso subito interessante per la qualità dei relatori e per le tematiche che sono state affrontate, di assoluta attualità in questo momento storico. Con la news letter di questo mese vogliamo cercare di riassumere l’intervento del dott. Poggi, consulente d’impresa per il commercio internazionale e non nuovo alla nostra categoria avendo partecipato già a molti incontri con i nostri iscritti. La relazione dell’Avvocato Bellante troverà invece spazio in una delle prossime uscite.
Gli scenari internazionali, ma a noi geograficamente vicini, stanno subendo in quest’ultimo periodo dei cambiamenti che hanno già prodotto delle ripercussioni di non poco conto per la nostra economia, già critica di per sé.
Se infatti pensavamo di “dormire sogni tranquilli”, con un Est Europa che permetteva alle nostre esportazioni di essere determinati per i conti dello Stato, gli ultimi tragici avvenimenti tra Russia e Ucraina stanno minando queste certezze. Ma andiamo per ordine e vediamo da un punto di vista prettamente doganale l’evoluzione dell’Est Europa sotto il profilo di politica commerciale.
Il primo passo per una grande “ riforma” di integrazione economica ha avuto inizio il 1 gennaio del 2010, con l’istituzione di un’unione doganale tra Russia, Bielorussia e Kazakistan. Come ben sappiamo un’unione doganale comporta l’applicazione nei confronti delle importazioni dai Paesi terzi dello stesso trattamento daziario e procedurale. Giusto due anni dopo è stato siglato l’accordo per la costituzione di uno spazio economico comune, così da rendere libera la circolazione delle merci e dei servizi all’interno di questo spazio. Il 22 agosto del 2013, poi, la Russia entra a far parte degli Stati del WTO con il recepimento delle Direttive secondo le quali diventa comune l’applicazione dei principi per la determinazione del valore in dogana, della classificazione doganale, dei dazi ed imposte all’importazione come dei dettami sull’origine non preferenziale.
Ma se tutto questo non rappresenta propriamente una sorta di difficoltà e di novità per la nostra categoria, proprio per il carattere conosciuto con cui opera il WTO, merita invece particolare attenzione l’introduzione, a far data dal 1 gennaio del 2013, del marchio unico di conformità EAC, in sostituzione dei marchi già in essere quali il GOST-R ( Russia), GOST-B (Bielorussia) e GOST-K ( Kazakistan).
Stiamo parlando del processo di armonizzazione all’interno dell’Unione delle normative e dei regolamenti tecnici nazionali che stabiliscono i requisiti di conformità e sicurezza per la commercializzazione dei prodotti, siano essi nazionali che di importazione.
Tralasciando il periodo di transizione terminato con il 01/07 di quest’anno, concesso al fine di consentire le Aziende produttrici di adeguarsi alle nuove normative, ciò che risulta innovativo ed importante sono i contenuti imposti dal nuovo marchio che di fatto impongono agli esportatori di seguire precise regole sia legate al prodotto che formali.
Sulla base di quanto previsto, infatti, per numerose categorie di beni la conformità ai requisiti applicabili deve essere comprovata, al momento dell’importazione, da appositi certificati e dichiarazioni, che possono essere emessi da laboratori accreditati. A leggerla così si potrebbe pensare ad una certificazione ( o dichiarazione) che si va a sommare a molte già richieste. Ma il fatto nuovo, che ha creato una sorta di destabilizzazione tra gli operatori, è rappresentato dall’obbligo che i documenti di conformità sono rilasciati solo a soggetti residenti all’interno dell’unione. Per i produttori esteri (quindi, ad esempio, comunitari) risulta così necessario nominare un referente in loco che si occupi di tutte queste procedure. L’unico distinguo deriva dal fatto che la certificazione di conformità è richiesta per particolari tipologie di prodotti ( es. giocattoli, alcune categorie di prodotti tessili, macchinari ed apparecchi industriali) e viene rilasciata da un laboratorio terzo accredito dall’unione. La dichiarazione, al contrario, può essere rilasciata sulla base di test e prove condotte dall’Azienda produttrice estera ( italiana , ad esempio). Ma attenzione; la dichiarazione va sempre registrata presso un laboratorio terzo, sempre accreditato dall’Unione.
Entrando nello specifico, se un produttore italiano di mobili volesse esportare all’interno dell’Unione cosa deve osservare? Il Regolamento tecnico TR CU 025/2012 relativo alla sicurezza dei mobili parla chiaro. Esso specifica nel dettaglio requisiti di etichettatura, di scurezza e di qualità per diverse categorie di prodotti. Tra questi, appunto, le sedie, i mobili da arredamento e quelli per l’ufficio. Se vogliamo dare il dettaglio delle informazioni minime obbligatorie che devono essere presenti su di una etichetta basta ricordare che è imprescindibile la presenza delle seguenti informazioni:
- Denominazione del prodotto in base alla sua funzionalità;
- Marchio del produttore;
- Paese di origine;
- Nome ed indirizzo del produttore;
- Nome ed indirizzo del responsabile dell’immissione in consumo;
- Dati di produzione;
- Termine di garanzia;
- Data di scadenza;
- Marchio EAC;
- Per i mobili forniti smontati, idonee istruzioni per il montaggio.
Il tutto, a parte le informazioni legate al marchio del produttore che possono essere fornite in caratteri latini, devono essere fornite in lingua Russa, Kazaka o Bielorussa a seconda dell’effettivo mercato di destinazione, nonché in caratteri cirillici.
Non dimentichiamo, inoltre, i vari requisiti legati alla sicurezza dei prodotti rappresentati da requisiti meccanici, al fine di determinare l’eventuale deformabilità di un bene piuttosto che la sua resistenza, oppure requisiti chimici e di morbidezza secondo categorie di livelli massimi e/o minimi stabiliti dai regolamenti tecnici senza dimenticare che queste condizioni devono essere osservate congiuntamente.
Appare così evidente che la penetrazione del mercato dell’Unione presuppone la conoscenza di molti aspetti sia doganali che tecnici, così da rendere non solo “opportuno” ma del tutto necessario un soggetto di riferimento e di fiducia in loco, nonché una costante conoscenza di ciò che accade al di fuori della nostra Comunità.
E’ inutile nasconderlo. Stiamo assistendo quotidianamente a continui cambiamenti geo – politici non programmabili sino a poco tempo fa e sicuramente non auspicabili. Oggi giorno le politiche di “distrazione dei mercati” non avvengono più sulla base dell’applicazione di aliquote di dazio più o meno gravose. Ogni Paese che è unito ad altri da vincoli di cooperazione, o vere e proprie unioni doganali, ha altri sistemi per l’applicazione di “barriere all’entrata”. Il baricentro si sta progressivamente spostando dalla salvaguardia del proprio mercato interno, a mezzo di politiche tributarie, a quello basato sull’utilizzo di nuovi vincoli per poter esportare verso questi Paesi.
Ed è così che l’esauriente e qualificata relazione del dott. Poggi non può che essere fonte di sensibilizzazione per tutti gli attori interessati a questi processi globali. Internazionalizzarsi significa avere quelle conoscenze dei mercati che portino i nostri prodotti ad assecondare di volta in volta nuovi vincoli ci fossero imposti. Purtroppo il nostro design, o semplicemente l’implicita qualità di un prodotto, non è più sufficiente per penetrare un mercato. Questi indubbi vantaggi andranno sempre più supportati dalla velocità con la quale ci si adegua a nuovi regolamenti e a nuove aree di libero scambio.
Non facciamoci trovare impreparati. Solo una costante formazione professionale può darci quelle competenze per affrontare i nuovi orizzonti che si prospettano. L’essere aggiornati è qualità per noi stessi ma ancor più per i nostri clienti. E lasciamocelo dire; anche per la nostra Comunità Europea, forse incline troppo spesso a fare solo domande, senza mai porsele.