di Piero Bellante
La Corte di Cassazione con la sentenza n. 7976 del 20 febbraio 2019, depositata il 21 marzo 2019, ha riconosciuto corretto l’operato di un importatore che, dopo aver dichiarato per l’immissione in libera pratica alcune partite di merce a dazio pieno, chiedeva la revisione dell’accertamento ex artt. 78, Codice doganale comunitario (Reg. (CEE) n. 2913/92 e 11, D. Lgs. 374/90, con presentazione “a posteriori” dei certificati di origine preferenziale “FORM A” e richiesta di rimborso del dazio a suo tempo versato. L’ammissibilità della richiesta sembrerebbe scontata, dato che non era stato sollevato alcun dubbio sulla correttezza e sull’autenticità dei certificati presentati. L’Ufficio delle Dogane di Savona, tuttavia, respingeva le istanze di revisione e negava il rimborso.
I certificati FORM A, infatti, risultavano rilasciati in data anteriore a quello della presentazione delle dichiarazioni doganali e, precisamente, nella stessa data di emissione delle polizze di carico. Quindi, secondo l’Ufficio, l’importatore avrebbe semmai dovuto procedere a presentare la merce in dogana secondo la procedura della “dichiarazione incompleta” di cui all’art. 76 del Codice doganale del 1992, non avendo titolo a richiedere la revisione dell’accertamento con presentazione di certificati che non risultavano essere stati rilasciati “a posteriori”, bensì in data coeva con quella dell’esportazione della merce dal Paese terzo. Secondo l’art. 76, comma 1, lett. a), del Codice doganale 1992, infatti, nell’ambito delle c.d. “procedure semplificate” (da non confondere con quelle che a suo tempo venivano indicate come “domiciliate” ex art. 12, D.Lgs. 374/90)l’autorità doganale poteva consentire che una dichiarazione in dogana ex art. 62, CDC, fosse presentata anche in mancanza di alcuni documenti di supporto, salvo poi dover produrre i documenti mancanti con una dichiarazione supplementare da presentare entro un termine tassativamente previsto (cfr. artt. 166, ss, Codice doganale 2013).L’importatore presentava ricorso e, stante la pretestuosità del diniego, otteneva vittoria nei primi due gradi di giudizio davanti alle Commissioni tributarie di Savona. L’Agenzia delle Dogane impugnava la sentenza di secondo grado davanti alla Corte di Cassazione.
La Corte rigettava il ricorso con una sentenza ineccepibile sotto il profilo dell’applicazione del diritto doganale, condannando l’Agenzia anche alla rifusione delle spese di giudizio. La Cassazione parte da una constatazione elementare: l’art. 20, comma 4, del Codice abrogato prevedeva espressamente la possibilità di richiedere “a posteriori” l’applicazione di un trattamento tariffario preferenziale, “finché sussistono le condizioni richieste”; sussistenza assolutamente pacifica nel caso in esame. Il diritto ad ottenere un determinato trattamento preferenziale, infatti, viene riconosciutose ricorrono i presupposti per l’attribuzione dell’origine preferenziale previsti negli Accordi con i Paesi terzi o nelle misure previste per la concessione unilaterale degli stessi da parte della Comunità: in altri termini, i certificati FORM A, così come tutti gli altri certificati di origine, non sono elementi costitutivi o presupposti del diritto;ma sono soltanto dei mezzi di prova qualificati del diritto stesso.
La Corte di Giustizia dell’Unione è intervenuta in questo senso con la sentenza C-253/99, punto 48, dove ha precisato che “la presentazione di un certificato di origine prima dell’immissione in libera pratica della merce cui si riferisce non è una condizione preliminare per l’esistenza del diritto ad un trattamento tariffario preferenziale ed i dazi prelevati prima della presentazione di un tale certificato non possono essere considerati legittimamente dovuti”. La vicenda portata all’esame della Corte di Cassazione si era svolta durante la vigenza del Codice doganale abrogato; ma il principio affermato dai giudici mantiene la sua validità anche con riferimento al Codice doganale dell’Unione entrato in vigore il primo maggio 2016 (Reg. (UE) n. 952/13).La disciplina della revisione dell’accertamento, descritta nell’ordinamento doganale italiano dall’art. 11, D. Lgs. 374/90, si inquadra ora nel sistema dei controlli e delle revisioni a posteriori di cui agli artt. 48, CDU 2013, e 173, comma 3, CDU 2013. A differenza di quanto previsto dall’art. 78 del Codice doganale abrogato, dove la facoltà di richiedere un controllo a posteriori ai fini della revisione di una dichiarazione doganale era prevista anche ad istanza di parte, la nozione di “controllo a posteriori” è ora riservata ai controlli che l’autorità doganale può disporre d’ufficio ai sensi dell’art. 48, citato e che possono riguardare, tra l’altro, “l’esattezza e la completezza delle informazioni fornite in una dichiarazione in dogana”.
Si tratta solo di una modifica dell’istituto a livello teorico, poiché la facoltà di richiedere la modifica di una dichiarazione doganale, quindi di chiederne il riesame ai fini della revisione,è comunque prevista dall’art. 173, comma 3, del nuovo Codice, al fine di “consentire al dichiarante di adempiere ai suoi obblighi riguardanti il vincolo delle merci al regime doganale” richiesto. “L’applicazione di un trattamento tariffario favorevole può essere retroattiva,a condizione che siano rispettati i termini e le condizioni stabiliti dalla pertinente misura o dal codice”, come previsto dall’art. 56, comma 3, CDU 2013; se ne deduce che anche per il nuovo Codice la relativa istanza possa essere prodotta “a posteriori” mediante richiesta di revisione dell’accertamento ad istanza di parte, ex artt. 173, CDC 2013 e 11, D. Lgs. 374/90, corredata della documentazione idonea, purché il tutto avvenga entro il termine triennale di prescrizione/decadenza previsto dall’art. 103, CDU 2013.