di Elena Di Benedetto
Ottobre 2015, un’azienda del Nordest si prepara ad importare alla Dogana di Trieste un camion di lamiere, provenienza e origine Russia, valore 80.000€. L’azienda predispone i documenti da presentare in Dogana ma trascura i certificati d’analisi chimica. L’ufficio import/export, fidandosi del reparto, tecnico che qualifica l’acciaio russo come “basso legato”, e dell’HS code 722540 indicato dal fornitore, classifica le lamiere come 7225404000. Viene flussata la bolla doganale, esce canale rosso, visita merce, ed il funzionario incaricato richiede i certificati d’analisi chimica. Dal confronto di questi ultimi con la nota esplicativa n. 1 lettera f) del capitolo 72, l’acciaio “basso legato” è in realtà un acciaio non legato poiché nessuno dei suoi componenti rispetta le proporzioni riportate nella nota. Si procede, quindi, alla revisione della bolla doganale, indicando nel campo 33 la classificazione corretta dei prodotti laminati nel 7208519800 (oggi 7208519890).
Supponiamo che quella stessa azienda importi, invece, barre di alluminio 7604291090, origine e provenienza Svizzera, valore sempre 80.000€. Immaginiamo che classifichi le barre nel 7308909800 (costruzioni e parti di costruzioni) oppure che, fermo restando la classificazione nel 7604, dichiari un’origine preferenziale svizzera poi smentita da un controllo in fase di accertamento che rileva l’irregolarità della dichiarazione d’origine preferenziale sulla fattura del fornitore.
Ipotizziamo, infine, che l’azienda importi sempre barre di alluminio 7604291090, origine e provenienza Stati Uniti. Supponiamo che l’intera partita di merce abbia un valore di 80.000€ ma che l’azienda dichiari, invece, 30.000€ per non aver ricompreso nel calcolo del valore in dogana tutti gli elementi previsti dall’art. 71 CDU.
Nel primo caso l’errore di classificazione non ha un risvolto sull’obbligazione doganale e tributaria: sia il 7225 sia il 7208 presentano, infatti, dazio 0%, l’importo dell’IVA dovuta resta invariato.
Nel secondo esempio l’errore di classificazione o, in presenza di una corretta voce doganale, l’inesatta dichiarazione dell’origine preferenziale hanno conseguenze dal punto di vista dell’obbligazione doganale e tributaria poiché comportano l’elusione del dazio del 7,50% che grava erga omnes sulle barre di alluminio e una differenza nel calcolo dell’IVA dovuta in Dogana.
Nel terzo caso, infine, siamo in presenza di un’elusione di parte del dazio poiché viene alterata la base imponibile sulla quale applicare il 7,50%, con conseguente calcolo errato dell’IVA da versare in Dogana.
Le condotte sopra illustrate non sono tipizzate nel CDU. Da un lato si parla di inosservanza in seguito alla quale sorge un’obbligazione doganale (art. 79 CDU), definizione non applicabile al primo caso nel quale non ci sono risvolti dal punto di vista dei diritti doganali. Dall’altro si parla di violazione della normativa doganale (art. 42 CDU) senza tuttavia definirla. Una definizione di “violazione della normativa doganale” è fornita dal contesto internazionale (definizione di “Customs Offence” nella Convenzione di Kyoto, Allegato H capitolo 1, lettera E3/F1) oppure da quello nazionale al quale sia le convenzioni internazionali sia il CDU lasciano piena competenza (Convenzione di Kyoto, Allegato H CAPITOLO 1; Trade Facilitation Act articolo 3 “Penalty Disciplines”, paragrafo 3.1, CDU articolo 42)
Mettiamo a confronto come le tre condotte sono, quindi, definite e sanzionate in tre Paesi dell’area mediterranea: Italia, Spagna e Francia. Vediamo se i tre Paesi rispettano i principi ex art. 42 CDU e se è auspicabile maggior armonizzazione all’interno dell’UE.
Vediamo, infine, l’approccio della Proposta di Direttiva UE per l’armonizzazione del regime sanzionatorio doganale, COM(2013) 884 del 13.12.2013, e se tale Proposta di Direttiva è in linea con il principio di proporzionalità delle sanzioni. Per semplicità di calcolo, negli esempi consideriamo solo il dazio.
In Italia il TULD, Testo Unico Legge Doganale del 23.01.1973, modificato nel 2012, negli articoli da 302 a 321 definisce gli illeciti e le relative sanzioni amministrative pecuniarie. In Spagna, invece, la LGT Ley General Tributaria n. 58 del 17.12.2003, novellata nel 2015, disciplina la “potestad sancionadora” mentre in Francia è il Codes des Douanes, aggiornato nel 2018, a regolare il “contentieux et recouvrement”.
Una prima differenza tra i sistemi esaminati la notiamo nella stessa definizione delle infrazioni. Spagna e Francia, infatti, rispettivamente agli articoli 199 e 192 LGT, 410 e 411 Code des Douanes, qualificano con chiarezza le condotte illecite.
In Italia, invece, l’art. 303 del TULD differenze rispetto alla dichiarazione di merci destinate alla importazione definitiva, al deposito o alla spedizione ad altra dogana lascia spazio ad interpretazioni. Se le fattispecie n. 1 e n. 3 possono essere ricondotte rispettivamente al comma 1 e al comma 3 del citato articolo, la classificazione del caso n. 2 non è così immediata. L’errore di classificazione che arreca pregiudizio economico cade nel comma 1 o nel comma 3? E l’errore sull’origine è contemplato dall’art. 303 del TULD?
Per quanto riguarda il primo quesito, dalla lettura del primo comma dell’art. 303 TULD risulterebbe che solo l’errore sul valore, tale da generare un delta tra dichiarato ed accertato superiore al 5%, possa essere sanzionato ai sensi del comma 3. Ciononostante, quest’ultimo comma sembra ricondurre la differenza passibile di sanzione a tutte le inesattezze sugli elementi dell’accertamento che comportino il delta tra dichiarato ed accertato superiore al 5%, ricomprendendo, dunque, anche gli errori di classificazione che impattano sull’obbligazione tributaria.
Al secondo dubbio risponde la giurisprudenza della Cassazione. A titolo esemplificativo citiamo la sentenza n. 3467 del 14 febbraio 2014, punto 36.1: “…..art. 303, comma 1 (qualità, quantità, valore)…E poiché nel concetto di “qualità” di una merce rientra qualsiasi caratteristica, proprietà o condizione che serva a determinarne la natura e a distinguerla da altre simili, vi rientra anche l’origine (o la provenienza), in quanto elemento sintomatico delle specificità del prodotto”.
Dalle considerazioni qui sopra classifichiamo quindi anche l’infrazione n. 2 nel comma 3 dell’art. 303 TULD.
Italia, Spagna e Francia differiscono anche dal punto di vista della sanzione applicata. Mettendo a confronto i tre Paesi nelle tabelle qui sotto notiamo che, per i casi n. 2 e n. 3, l’Italia ha delle pene decisamente sproporzionate rispetto a Spagna e Francia:
La proporzionalità del comma 3 dell’art. 303 TULD non solleva perplessità solo nel confronto tra Paesi, ma anche se considerato singolarmente. La sua formulazione in scaglioni di diritti elusi comporta, infatti, una distorsione: la sanzione minima incide maggiormente sugli importi di dazi e diritti evasi che si collocano vicino al limite minimo dello scaglione, mentre impatta in misura molto più lieve al crescere dell’ammontare non versato.
Uno studio ad ampio spettro sulle differenze tra Stati Membri in ambito sanzionatorio è stato condotto dal gruppo di progetto, istituito dalla Commissione UE nell’ambito del programma “Customs 2013”, le cui conclusioni sono state allegate alla Relazione sulla Proposta di Direttiva UE per l’armonizzazione del regime sanzionatorio doganale – COM(2013) 884 del 13.12.2013.
Secondo tale Proposta di Direttiva UE gli esempi illustrati verrebbero puniti con una multa pecuniaria proporzionale al valore della merce e non al valore dei diritti non versati.
Una tale impostazione, tuttavia, non solo manca di proporzione tra sanzione ed ammontare evaso, ma potrebbe generare distorsioni sul commercio. Colpirebbe, infatti, l’importazione di beni ad alto valore aggiunto, e magari con dazio 0% (esempio: alcuni macchinari del capitolo 84), mettendo in secondo piano illeciti relativi all’importazione di beni di medio – basso valore con dazio elevato (esempio: alcune calzature del capitolo 64 hanno un dazio ad valorem del 17%).
Una Direttiva, inoltre, potrebbe non essere lo strumento idoneo a garantire una piena armonizzazione poiché ogni Stato Membro la recepirebbe in tempi diversi, dando luogo ad una frammentarietà tale da non tutelare adeguatamente il legittimo affidamento degli operatori.
I dazi sono risorse proprie dell’UE, stabiliti con normativa direttamente applicabile negli Stati Membri (Reg. CEE 2658/87 e successive modifiche). Per questo motivo, almeno per la parte non versata alla Dogana costituita dal dazio, sarebbe forse più opportuno un Regolamento. La sua efficacia, infatti, prescinde dalla trasposizione negli ordinamenti giuridici degli Stati Membri e, per quanto riguarda l’Italia, potrebbe risolvere il dibattito circa la (mancante) proporzionalità dell’art. 303 del TULD e la sua eventuale riformulazione.
Ultimo, ma non meno importante, un “sistema sanzionatorio europeo” porterebbe maggiore uniformità per quanto riguarda uno dei criteri per la concessione dello status di AEO. L’articolo 39 CDU, infatti, alla lettera a) dispone che uno dei requisiti è l’assenza di violazioni gravi o ripetute della normativa doganale e fiscale, compresa l’assenza di trascorsi di reati gravi in relazione all’attività economica del richiedente.