di Avvocati Najdat Al Najjari – Francesca Di Bon Pellicciolli
Un’Azienda italiana deve esportare arredamenti in un Paese extracomunitario ove ha, in precedenza, nominato un proprio rappresentante fiscale. Gli arredamenti di cui si tratta debbono essere montati in loco presso il cliente extracomunitario.
Quali i principali aspetti IVA connessi all’operazione?
Il tema proposto richiede – per poter essere adeguatamente affrontato – la definizione del concetto di cessione all’esportazione e la sua applicazione alla specifica fattispecie dell’appalto/fornitura.
Ai sensi della normativa nazionale costituiscono cessioni all’esportazione non imponibili le cessioni di beni eseguite mediante trasporto o spedizione di beni al di fuori del territorio dell’Unione a cura o nome del cedente anche per incarico del proprio cessionario o commissionario di questi.
La non imponibilità delle suddette cessioni presuppone, in applicazione dei principi generali, la sussistenza in capo alle operazioni stesse di tutti e tre i presupposti applicativi dell’IVA (oggettivo, soggettivo e territoriale) essendo la detassazione dell’operazione connessa al luogo di consumo dei beni stessi, collocato al di fuori dal territorio Comunitario.
Le cessioni all’esportazione il cui effetto traslativo sia posticipato rispetto all’invio del bene all’estero sono considerate esportazioni e concorrono quindi alla formazione del plafond qualora la cessione successivamente eseguita rientri sin dall’inizio nelle finalità delle parti oggetto dell’operazione.
La normativa comunitaria, infatti, ai fini della qualificazione dell’operazione come cessione all’esportazione non impone alcuna condizione in ordine al momento in cui i due presupposti sostanziali dell’esportazione (consegna fuori dal territorio doganale comunitario ed effetto traslativo della proprietà); la temporanea assenza al momento dell’atto negoziale dell’effetto traslativo non comporta pertanto, per l’operazione, la perdita della qualifica di “esportazione”
L’intervallo tra la realizzazione dei presupposti deve comunque essere giustificato dalla intenzionata preordinazione della cessione che deve comunque sussistere, indiscutibilmente, al momento iniziale dell’operazione.
Tale posizione è avvalorata in giurisprudenza da Cass.n. 23588/2012 ed è fatta propria dalla Norma di comportamento n. 161 ADC di Milano.
È il caso di osservare inoltre che l’Amministrazione finanziaria, con la C.M. 3 agosto 1979, n. 26/411138, ha chiarito che costituiscono cessioni all’esportazione, non imponibili ai fini IVA, le cessioni che hanno per oggetto beni inviati all’estero a cura o a nome del cedente, considerandosi tali le consegne all’estero di beni anche in dipendenza di contratti di appalto, limitatamente al corrispettivo dei beni esportati.
Secondo la prassi e la giuriprudenza nazionale infatti le consegne all’estero di beni – anche in dipendenza di contratti di appalto, limitatamente al corrispettivo dei beni esportati – rientrano nella categoria delle cessioni all’esportazione, non imponibili ai fini IVA: ossia, il contatto di appalto che, ai sensi dell’Art. 3 d.p.r. 633/1972 dovrebbe essere considerato una prestazione di servizi, viene considerato, limitatamente ai corrispettivi relativi ai beni esportati, come una cessione all’esportazione vera e propria (principale prassi amministrativa di riferimento: C.M. 3/8/1979 n. 26/411138; Giurisprudenza di merito: C.T. I° grado di Udine, s.n. 984 d.d. 22.06.1990).
Anche sulla scorta delle indicazioni ministeriali e di prassi, è quindi possibile concludere che le cessioni all’esportazione di beni a fronte di contratti di fornitura/appalto possono essere fatturate ai sensi dell’Art. 8 comma I lettera a) qualora:
– il passaggio di proprietà delle merci sia già avvenuto prima della loro uscita dal territorio dello Stato, ovvero
– qualora le parti si siano comunque già accordate affinchè il passaggio di proprietà delle merci avvenga in un momento successivo, a condizione che il cedente si sia già impegnato in tal senso.
Ipotizzando che il Rappresentante Fiscale sia considerato quale parte sostanziale dell’operazione sono ipotizzabili distinte soluzioni contabili che rappresentano un inquadramento del problema sotto il profilo generale e devono essere poi attuate con riferimento alle specifiche modalità di fatturazione concretamete seguite dall’Azienda.
Ciò che rileva in maniera particolare nell’ipotesi in commento è la possibilità per l’operatore di costituire plafond con riferimento all’ammontare delle operazioni effettuate.
Sulla scorta della prassi amministrativa e della giurisprudenza di merito citata è possibile concludere che, indipendentemente dalle modalità seguite per la fatturazione nei confronti del rappresentante fiscale, la base imponibile idonea alla costituzione del plafond sia costituita esclusivamente dal valore del materiale oggetto di esportazione con esclusione dell’importo delle prestazioni relative ai servizi.
Questa soluzione non è l’unica, potendosi ipotizzare altresì il servizio come prestazione accessoria alla cessione di beni: tuttavia qualora il serrvizio costituisca un elemento caratterizzante della prestazione esso non può essere degradato a semplice “atto esecutivo ancillare” ma assume dignità autonoma ai fini della fatturazione. Ne consegue quindi che, fermo restando che il passaggio di proprietà dei beni oggetto del contratto sia avvenuto nel territorio dello Stato, solo il valore dei beni e non quello della prestazione di servizi costituirà base imponibile ai sensi dell’Art. 8 comma I d.p.r. 633/1972 e conseguentemente sarà idoneo a concorrere alla formazione del plafond.